Gufo parade
Qualche domanda a Giovanni Tamburelli
Partiamo dalle radici, come ha inizio la tua storia?
Sono figlio e nipote di fabbri, fin da bambino mi sono innamorato del ferro e ho iniziato a creare delle forme, attratto dal regno animale.
Quali sono le persone che più ti hanno ispirato in ambito artistico e professionale?
Circa a metà anni ’80 l’incontro con Maurizio Corgnati e con alcuni letterati e appassionati d’arte che frequentavano la sua casa di Maglione (Fabrizio Dentice, Lodovico Terzi, Aurora Ciliberti ecc.) è stato determinante. Se invece parliamo dell’ispirazione tratta da altri artisti storici, potrei dire Brancusi e Dubuffet.
In che modo la natura ispira i tuoi progetti e il tuo stile di vita?
Quando ero piccolo trascorrevo le estati dai nonni, sulle montagne del Tortonese al confine tra Liguria, Lombardia e Piemonte, nel paese d’orgine della mia famiglia paterna a 1.000 metri d’altitudine. La natura fa parte da sempre del mio mondo e, da lì, della mia arte.
Il viaggio che più di tutti desideri fare.
Mi piacerebbe andare in Giappone, uno dei paesi che non ho ancora visitato tra i miei vari, lunghi viaggi.
Se il tuo progetto fosse musica, quale brano sarebbe?
Il Quartetto op. 100 di Schubert.
Qual è per te la definizione di arte?
Gioia di creare con le mani.
Quale opera d’arte posizioneresti al centro di un’esposizione?
Un tavolo di Carlo Mollino.
Cosa significa per te giardinaggio evoluto?
Lasciare che le piante crescano senza potarle.
Cinque parole per te strettamente connesse al concetto di terra (suolo).
Bellezza, fatica, crescita, morte, vita.
Bio
Giovanni Tamburelli (Torino 1952), vive e lavora a Saluggia (VC). Dopo gli studi grafici all’Istituto Paravia di Torino ha viaggiato e letto molto. Del suo lavoro hanno scritto, tra gli altri, Gillo Dorfles, Martina Corgnati, Francesco de Bartolomeis, Nico Orengo, Sebastiano Vassalli, Michel Butor e il Prix Goncourt Frédérick Tristan. Ha esposto in Italia e all’estero. Nel 2011 è stato invitato alla 54. Biennale d’Arte, nel Padiglione Italia all’Arsenale di Venezia. Nel 2016 è uscita per Allemandi, a cura di A. Ruffino, l’ampia monografia «Hotel du Tambour».
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