Testo di Eleonora Diana
“Quando saremo tra gli alberi stai bene attenta, per amor di Dio; non toccar niente, non strappare nemmeno una foglia, altrimenti è finita sia per me sia per te: qui il padrone è un troll con sei teste, e con quello non credo che riuscirei a spuntarla.”
(da “Kari Vestedilegno”)
C’era una volta un castello con un giardino… ma attenzione, perché i giardini possono essere, e spesso lo sono, molto incantati e un po’ pericolosi: quando si spezza un ramo, si ruba un frutto, si coglie un fiore, qualcosa di magico può succedere. E di solito succede.
Quando c’è un’infrazione botanica, c’è una fiaba…
Il giardino fiabesco dell’infrazione botanica
Il giardino delle fiabe è ovviamente un luogo magico: giardino della casetta stregata nel bosco o giardino regale del castello, con piante profumate, frutti o fiori attraenti.
Nelle fiabe ritroviamo tutta la tradizione del “Giardino dell’Età dell’Oro”: luogo di fertilità ed eterna abbondanza simboleggiata dai succosi frutti degli alberi. Sotto il suo terreno, la tradizione del topos letterario del locus amoenus nasconde anche qualcosa di misterioso, fascinoso e soprattutto pericoloso: l’Aldilà.
Strappare o sradicare una pianta dal giardino è un’infrazione botanica: cambia gli eventi, provoca uno sconquasso o apre un varco per l’ignoto mondo sotterraneo.
Nella mitologia greca e latina, ma non solo, questo gesto è ripetuto tante volte e in altre dà avvio alla storia, come nel caso di Kore-Persefone che strappa un fiore e viene rapita dal regnante dell’aldilà. Oppure come Europa che raccoglie fiori vicino alla spiaggia e viene rapita dal toro bianco-Zeus.
Allo stesso modo, afferrare un frutto succoso da un albero di un giardino paradisiaco è un’azione fortemente simbolica e nel mito, nel folclore e nelle religioni ne rimane spesso traccia. Un esempio? La mela nel Paradiso Terrestre. Peggio di così non poteva proprio andare…
Questa lunga tradizione di piante strappate e frutti rubati si collega con la narrazione di un’antica e trasversale divinità preistorica: la “Grande Madre”.
Agli albori della storia, i primi uomini notarono lo strettissimo legame tra fertilità della donna e forza creativa del suolo. Non è un caso che in tutte le lingue europee la parola “terra” sia sempre al femminile.
La dea è trina: vergine, donna, anziana. È causa e impersonifica la magica morte e la rinascita della vegetazione nei cicli naturali, ma è anche la vegetazione stessa. È acqua, terra fertile e feretro, con il ventre umido dove ogni cosa nasce e ritorna dopo la morte.
Un fatto è certo e condiviso, la dea è al centro di “una religione che venerava sia l’universo in quanto vivente corpo della Dea-Madre Creatrice, sia tutto ciò che vive al suo interno perché partecipe della sua divinità.“1
Così le piante e i loro frutti, alcune più di altre, diventano una sua emanazione divina: spezzare un ramo, sradicare un bulbo, afferrare un frutto sono gesti che, lungi dall’essere semplici azioni dal poco valore, diventano una rottura (o modifica) dell’ordine divino, carico e gravido di conseguenze.
Nella fiaba le infrazioni botaniche sono molte.
Ne “i dodici fratellini” dei Grimm, la sorella fanciulla strappa alcuni gigli Studenten o gigli di S. Antonio, uccidendo inconsapevolmente i fratellini. Potranno essere salvati solo attraverso una prova “talmente difficile, che non ci potrai riuscire”. Così succede in “Raperonzolo”, dove la madre fa rubare al marito i raperonzoli più belli, freschi e verdi, ma in cambio deve consegnare alla maga la futura nascitura. Attratte dalla bella rosa, “le tre principesse della montagna azzurra” la afferrano. Ma appena compiuto l’atto, scompaiono sotto un enorme fiocco di neve.
Nella fiaba russa “Burja l’eroe figlio di mucca” la moglie di uno dei serpenti si trasforma in un giardino magico pieno di frutti succosi e profumati, capaci di uccidere gli eroi.
Il bulbo e il cambio d’abito nella fiaba barocca
“C’è solo il grande inverno, che crea la vita. La conserva nel sonno, per risvegliarla nel giusto momento.
L’autunno è il raccoglimento delle piante in loro stesse, la ricerca delle radici di nuove strade, dentro la terra.”
(Pietro Testori, invitato di Orticolario 2016 e 2017)
Secondo il saggista Giuseppe Sermonti il giardino incantato è il teatro delle fiabe barocche, diverse dalle gotiche, che rappresentano diversi aspetti del mondo vegetale. “Hänsel e Gretel” racconta lo sbarazzarsi del seme di un pianta, “Pollicino” è un piccolo seme in viaggio, “La Bella Addormentata” è il disvelamento del segreto della fecondazione botanica, in “Biancaneve” c’è la rappresentazione della brevistilìa.
I personaggi del giardino magico sono le eroine dai colori solari e primaverili come le Angiosperme: piccole Cenerentole, cangianti, che si cambiano d’abito nei diversi momenti dell’anno. Passano da uno spazio sotterraneo, buio, freddo a uno luminoso, soleggiato, tiepido. Una nuova rinascita, una vestizione luccicante, sfarzosa, inaspettata.
Sono le piante eroine di un giardino fiorito, lussuriose come la primavera.
Residuo di antichi riti propiziatori in lode alla Grande Madre in veste vegetativa, la celebrazione del passaggio dall’inverno alla primavera, la simbolica discesa agli inferi delle piante e il loro ritorno alla vita, è nella fiaba una vestizione.
“Appartengono all’inverno della fiaba tutti gli occultamenti, le coperture, i seppellimenti, gli imbestiamenti cui l’eroe o l’eroina della fiaba soccombono. La stanza sotterranea o la cucina al piano-terra, la pelle d’asino o di ranocchio, sono gli abiti dimessi dell’inverno, la vegetazione ipogea che consente alle piante di superare la cattiva stagione. La vita vegetale che scompare d’inverno seguita ad esistere in forma occulta, e ciò che la terra nasconde sono le idee, i principi primi, gli archetipi delle rinascite primaverili.” 2
Le eroine barocche, rispetto alle gotiche, sono quindi molto diverse: “Nel rapporto, rappresentano il caduco di fronte al sempriterno, il doloroso-gioioso di fronte all’imperturbabile, il ciclico di fronte al lineare, il dionisiaco di fronte all’apollineo” 3
Soprattutto i bulbi, secondo Sermonti, con la loro catabasi, assomigliano, quasi a identificarvisi, alla Grande Madre divina: discendono negli inferi, perché possano rinascere, facendosi strada nella nuda terra, come il narciso, che è il fiore che ha attratto Kore-Persefone e poi protagonista nella fiaba dalle atmosfere cupe scritta da Kierkegaard.
Fiore importato dal Mediterraneo, in Cina il suo nome è traducibile come “acqua immortale”.
Nell’antichità la figura mitica di Narciso fu venerata anche nella versione di Narkissus, detto l’Eroe del Silenzio o il Silenzioso, perché connesso ai riti funebri. Forse non solo per le sue caratteristiche narcotiche, ma anche per la simbolica catabasi del suo bulbo?
Simile, non uguale, il giglio, di cui la prima raffigurazione murale è del 1550 a.C., è molto presente nelle fiabe dei Grimm, spesso collegato a una progenie maschile.
La principessa cinese, un po’ giglio e un po’ ape
In una bellissima fiaba cinese, invece, si racconta del giglio come di una principessa del mondo dei sogni.
Il mondo onirico è quello di Tou Hsun che vive a Chiao-chou. Addormentandosi, incontra la bella principessa Lily di cui s’innamora perdutamente.
Al risveglio, si rende conto che è stato solo un sogno, ma guarda il giglio del suo giardino con desiderio, perché non può dimenticare il profumo e la bellezza di Lily.
La notte successiva si riaddormenta e, con grande felicità, torna alla sua vita con la principessa: il loro ricongiungimento viene interrotto da un dispaccio consegnato a Lily. Un enorme serpente/drago sta distruggendo la città e si sta avvicinando pericolosamente al palazzo reale. In quel momento il sogno si fa sempre più angosciante, il drago sempre più vicino, mentre il padre di Lily, e Lily stessa, chiedono di essere salvati. E così Tou Hsun li trasporta nel giardino della propria casa.
Si risveglia nuovamente e scopre delle piccole api che non riesce ad allontanare. Chiedendo consiglio al vicino, capisce che le api stanno cercando casa e in verità sono la principessa e la sua corte. Costruisce così un alveare che viene invaso da un serpente, ucciso poi da Tou Hsun con l’aiuto di un vicino e di un vecchio saggio.
Il miele dell’alveare della principessa Lily è di un’incredibile dolcezza e con il passare del tempo le api riempiono il giardino di molti alveari sempre più ricchi.
Fonti:
“Fior da fiore. Novelle botaniche”, Giuseppe Sermonti (Edizioni Lindau, 2016)
“Tutte le fiabe” Jacob e Wilhelm Grimm (Newton Compton Editori. Edizione del Kindle, 2011)
“Lu cuntu de li cunti”, a cura di Pasquale Buonomo (Gruppo Albatros, 2020)
“Le mille e una notte”, a cura di Francesco Gabrieli (Enaudi, 1997)
“Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione” James George Frazer (Bollati Bornghieri, 1964)
“Fiabe norvegesi” a cura di Bruno Berni (Iperborea, edizione del Kindle, 2019)
“Fiabe russe” Alexandr Nicolaevi Afanas’ev (Rizzoli, edizione del Kindle, 2013)
“Le nozze di Cadmo e Armonia” Roberto Calasso (Adelphi, 1988)
“Mitologia degli alberi” di Brosse Jacques (BUR saggi 2015)
“I miti greci” Robert Graves (Longanesi, edizione digitale 2014)
“Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante” Alfredo Cattabiani (Oscar Mondadori, 2016)
“Nel giardino del diavolo: Storia lussuriosa dei cibi proibiti” Stewart Lee Allen (Feltrinelli, 2005)
“Il linguaggio della dea” di Marija Gimbutas, (Le civette di Venexia, 2015)
cracklemountain.blogspot.com
sfheart.com
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gardentags.com
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Legends and Facts About the Lily of the Valley – World of Flowering Plants
worldoffloweringplants.com
stemswithstyle.com.au
lanazione.it
Note
1 pag. XIII da “Il linguaggio della dea”; 2 pag.86 da“Fior da fiore. Novelle botaniche”, 3 pag.24. ivi;