Caleidos
Qualche domanda ad Abele Vadacca
Parliamo di genesi, come ha inizio la tua storia?
La mia genesi come scultore inizia nelle cave di marmo di Carrara, come studente di Accademia prima a Venezia, poi a Carrara. È stato proprio il marmo a catturare le mie emozioni giovanili.
Dal marmo e dalla gente del marmo ho imparato il rispetto, quasi sacrale, per la natura.
Ogni blocco che ho scolpito o che riposa nel mio laboratorio è per me un dono, ho imparato dai cavatori il rispetto per il sacrificio e per la natura che si concede a noi. Ogni scaglia che scolpisco è per me una preghiera.
In che modo la natura ispira i tuoi progetti e il tuo stile di vita?
La natura è uno specchio in cui ci si riflette quotidianamente, in un continuo dialogo di ammirazione e di interpretazione, ma diventa soprattutto uno strumento per riflettere sulla nostra realtà circoscritta in un preciso momento.
Qual è la tua personale forma d’esercizio per la meraviglia?
La meraviglia non è una condizione subitanea, è una riflessione postuma.
Essa assume più valore quando viene a mancare, per cui ci si può meravigliare dell’assenza di meraviglia.
La meraviglia sopraggiunge nel momento in cui ciò che abbiamo vissuto è già fuggito, e ci pone nella condizione di cercare ancora.
Quali sono le persone che più ti hanno ispirato in ambito artistico e professionale?
Le persone che più mi hanno ispirato non si trovano certamente tra le più note e famose, o tra quelle riportate nei libri di storia dell’arte. Sono coloro che, a volte, un po’ per caso, ho incontrato in modo anonimo, e che mi hanno segnato lasciando una cicatrice indelebile.
Quale opera d’arte/oggetto di design posizioneresti al centro di un’esposizione?
Parliamo di un manufatto, quindi “opera dell’ingegno umano” che ha quindi una restituzione emozionale. Non credo ci sia bisogno di andare a cercare in rigogliosi e pomposi momenti espositivi. L’emozione è quella che sta lì, nell’angolo più remoto della nostra vita ed in qualche modo ci comunica in silenzio. Credo che ci siano opere primitive molto interessanti, come anche opere essenziali che non hanno avuto la brama e la voglia di essere riconosciute come grandi opere d’arte.
Quale emozione o sensazione speri si provi entrando in contatto con il tuo lavoro?
L’emozione che spero possa essere vissuta è la condizione per la quale l’umanità si esprime con l’umiltà e l’umiltà pone l’umanità a migliorarsi. Forse nella scultura c’è una dimensione opposta a quello che è il quotidiano vivere di tutti i giorni. Soprattutto in quest’epoca fatta di social asfissianti, retorici ed insignificanti, la scultura è una ricerca verso sé stessi. Il mio lavoro vuole stimolare una riflessione sul principio di umiltà.
Cinque parole per te strettamente legate al concetto di Giardino dell’Eden.
Intimità, protettività, riflessione, casualità, ed infine ‘meraviglia inaspettata’.

Pierre-Alexandre Risser
Bio
Abele è uno scultore e pittore italiano. Nato in provincia di Lecce, ha vissuto a Venezia, Carrara e Milano, e attualmente risiede a Bellagio. Vincitore di una cattedra accademica, ha intrapreso sin da giovane un percorso artistico votato alla scultura, lavorando principalmente con materiali naturali.
La sua pratica artistica si rivolge a un pubblico nazionale e internazionale, combinando un virtuosismo tecnico nella lavorazione delle materie con un approccio sperimentale, in cui la scienza diventa alleata nella creazione di macchine e tecnologie al servizio dell’immaginazione.
La forma è al centro della sua ricerca, attraverso cui indaga dimensioni metafisiche, oniriche e simboliche. La sua è un’arte profondamente contemporanea, ma radicata in metodi rinascimentali e spinta da una costante tensione verso la trasfigurazione del reale.
Spazio, forma e tempo costituiscono i pilastri del suo lavoro, che dialoga con le più recenti scoperte scientifiche: dalla teoria della relatività alle frontiere dell’astrofisica.
Per Abele l’arte è un mestiere, una disciplina rigorosa quanto visionaria.