Blevio, sul Lago di Como
Tra Villa Cagni Troubetzkoy – denominata dagli abitanti per l’appunto “turbascogli” perché costruita a suon di dinamite nella montagna – e il Mandarin Oriental, al cui centro spicca la bellissima Villa Roccabruna del XIX secolo, appartenuta alla cantante lirica Giuditta Pasta, si erge sonnolente la piccola Blevio, borgo dalle “sette città”, ovvero le sette frazioni.
Alle spalle della maestosa Mylius-Cademartori, risalendo la montagna s’incontra il diavolo di Blevio e la cosiddetta Pietra Nairola, un complesso dei misteriosi massi erratici tipici del paesaggio del Lago di Como.
“ … sul dorso dei colli, sui fianchi dei monti, sui margini dei laghi… dappertutto… vedrete o solitari, o in gruppi fantastici, o allineati in modo mostruoso…. pezzi enormi di graniti, di porfidi, di serpentini, di rocce alpine di ogni genere evidentemente divelti dai monti lontani portati più giù, a centinaia di miglia di distanza e posti a giacere così rudi e informi, ove possono meglio stupirci… ”.
Misteriosi perché nel tempo sono state date diverse motivazioni sulla presenza di questi grandi massi così diversi rispetto al contesto, una delle quali li fa risalire persino al cielo. Sarebbero infatti meteoriti, scagliate dagli dei in dono agli uomini, da cui fabbricare – come facevano già faraoni egizi e sovrani maya, aztechi, inca e mesopotamici – coltelli cerimoniali sacri.
Ad oggi sembra che siano giunti in posizioni così uniche dagli scioglimenti dei ghiacciai. “Più in generale gli erratici sono ammassi sopravvissuti all’erosione di strati incoerenti di terreno (non strettamente legati alla ciclicità glaciale e, quindi, di formazione anche recente) o i sassi di più grande dimensione trasportati alle foci paludose dei fiumi, sulle coste dei laghi o nelle torbe”.1 Spesso, inoltre, sono oggetto anche di iscrizioni preistoriche di grandissimo valore per la loro unicità.
La Pietra Nairola, nello specifico, rappresenta un complesso di “grandi pietre quasi verticalmente infisse nel terreno, come dei monoliti”2, come spesso succede, al centro di una leggenda in cui il diavolo ci ha messo lo zampino…
La leggenda
Su una di queste pietre, forse la più grande e famosa, si può trovare un’impronta che qualcuno dice essere di un piede, ma, seguendo la leggenda, sarebbe nientemeno che quella della mano del diavolo.
Un diavolo dagli aspetti carnascialeschi e burloni, però: infatti si sarebbe divertito a lanciare i massi, come delle palle, fino al Monte San Maurizio. Sarebbe stata la gravità a farli ricadere indietro, dove il diavolo non aspettava altro per ricominciare di nuovo.
Nel folklore delle nostre zone, ma non solo, il diavolo non era così spaventoso come poi è diventato nel tempo insieme a una certa demonizzazione cristiana-cattolica: il diavolo era in realtà un demone dell’aria, tra dei e uomini, protettore delle attività quotidiane. Una sorta di folletto e ognuno aveva il proprio…
Un esempio di questa lunga tradizione è “Farfarello“, uno dei demoni delle Malebranche dell’Inferno dantesco: pare che il suo nome sia l’unico documentato anteriormente a Dante, traducibile come furfante, probabilmente dall’arabo farfar, folletto, leggero, chiacchierone, “da cui fanfara, agitare, essere incostante, e forse, anche farfalla“3
Fonti:
“Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti” Federico Crimi, Giulio M. Facchetti (Newton Compton Editori, 2008)
montenapodaily.com
coatesa.com
regione.lombardia.it
triangololariano.it
Note:
1 pag. 170 da “Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti”, 2 pag. 318 ivi, 3 pag. 147 ivi