Viaggio con paesaggio e il labirinto – Puntata 1

Testo di Eleonora Diana

Puntata 1

“Un vaso di miele per tutti gli dei,
un vaso di miele per la Signora del Labirinto”

(Tavoletta votiva micenea in terracotta del 1400 a.C.)

Il labirinto è uno dei simboli più potenti e fertili dell’umanità. L’origine della parola si sorregge su diverse etimologie presunte. Mancando così la radice della parola, ci sfugge una chiara identificazione della sua funzione originaria. A che cosa serviva il labirinto? Le interpretazioni spaziano: dal tempio del culto in onore della Signora del Labirinto nell’antichità, con il suo percorso iniziatico, a luogo dedicato alla celebrazione dei morti.
Il labirinto antico, misterioso tragitto magico, rimarrà, fino al rinvenimento di fonti più certe, un grande enigma.
Di certo sembra che il labirinto, nelle sue forme arcaiche, nelle sue interpretazioni cristiane e infine nella sua centralità nel giardino rinascimentale e barocco, abbia sempre mantenuto uno stretto legame con la simbologia del viaggio, sia esso un ritorno, tortuoso, o riflesso di un macrocosmo ordinato.

“Il viaggio, infatti, si compone degli stessi elementi del labirinto: un inizio – una partenza – un durante – che si esplica come transito – e una fine – l’arrivo; tre elementi questi, che, nel momento della loro realizzazione concreta, agiscono sul “viaggiatore”, mutano e arricchiscono progressivamente i diversi aspetti della sua personalità”

Il labirinto si configura così, a seconda delle epoche storiche in cui si inserisce, in primis, come esperienza di transito, di conoscenza e di scoperta.

Il viaggio verso l’oltretomba e ritorno


La tavoletta sopra citata, in cui compare per la prima volta il nome della Signora del Labirinto – Un vaso di miele per tutti gli dei, un vaso di miele per la Signora del Labirinto – presuppone evidentemente una divinità di cui il labirinto è il tempio, celebrata attraverso la danza. Addirittura, secondo Kern, tra i più grandi teorici, è la danza la forma specifica del labirinto archetipico.

“La danza, nella sua più antica e veneranda tipologia cultuale, rappresenta la verità, e insieme la giustificazione, dell’essere-del-mondo: fra tutte le teodicee è la sola inconfutabile ed eterna. Non insegna, non discute: avanza soltanto”.

Nella sua funzione di santuario, il labirinto sarebbe stato sede di un particolare tipo di danza celebrativa labirintiforme: probabilmente una forma primitiva della geranos di Delo, ovvero “la danza delle gru”. Descritta nell’Iliade come una creazione di Dedalo per Arianna, da Plutarco come quella che Teseo danzò per celebrare la vittoria sul Minotauro, la danza del labirinto, percorrendo un movimento spiraliforme avanti e indietro, avrebbe portato i danzatori al centro, per poi riportarli indietro, il tutto attraverso la presa di una fune.

La danza cultuale labirintiforme – ma non solo – è in origine il modo, durante il rituale sacro, per riprodurre il ritmo del cosmo, a cui il devoto partecipa, danzando. La fascinosa “Signora del Labirinto” supervisiona e motiva il ballo sacro. Trasfigurata poi in Arianna (tralasciamo gli studi che hanno portato a tale conclusione), sembra che la nostra mistagoga fosse in origine niente meno che la Signora del regno dei morti in persona. Luogo di culto della primigenia vestale del mondo dell’Altrove, il labirinto diventerebbe così la porta per il regno dei morti: le sue tortuosità e i suoi vicoli ciechi sarebbero riproduzioni terrestri dei meandri oscuri del mondo infero.
La danza delle gru è dunque un modo per celebrare, non tanto l’ingresso nel regno dei morti, quanto l’abilità, concessa dalla dea, di ritrovare la via del ritorno – seguendo il filo di Arianna.
In una tale visione, la fine corporea non è annichilimento, ma andata e ritorno attraverso la morte. La Signora è evocata come mastro di chiavi, unica in possesso del diritto di veto sul transito attraverso la porta dell’aldilà.

La Signora del Labirinto
Questa concezione per cui la divinità femminea presiede alla vita – nel nostro caso il potere della Signora di riportare indietro dall’Altrove -, ma anche alla morte, è diretta eredità del culto della Magna Mater o Grande Madre, divinità femminile arcaica e archetipica del mondo mediterraneo e medio-orientale. Intesa sia come Datrice-di-vita, sia come Datrice-di-fertilità, sia come Datrice-di-nutrimento sia come Reggitrice-di-morte, la Magna Mater è la divinità capace di dare la vita ma anche di toglierla. Il suo culto, poi soppiantato da una cultura androcratica e patrilineare, ha dato forma a tutte quella costellazione di divinità femminili spesso militarizzate e vergini che già conosciamo:

“Le Dee ereditate dall’Europa Antica, come le greche Atena, Era, Artemide, Ecate, le romane Minerva e Diana, le irlandesi Morrídan e Brigit, le baltiche Laima e Ragana, la russa Baba Yaga, la basca Mari e altre ancora, non sono “Veneri” che elargiscono fertilità e prosperità: come vedremo sono molto di più”

É il labirinto nel passato ad essere stato, a quanto sembra, il grande tempio di tale divinità. La sua connotazione funebre e la percezione del suo centro come portale del regno dei morti, è il tempio perfetto per tale dea, ma il viaggio nel labirinto è un viaggio di rinascita e di ritorno, una mistagogia alla scoperta del senso della morte.

E le gru?
Il motivo della gru della geranos non è ancora stato spiegato chiaramente: secondo alcuni potrebbe essere tradotto con una sorta di “il tempo delle gru” a rappresentare il momento autunnale.
Sicuramente non passa inosservato il collegamento con la rappresentazione della Magna Mater come donna uccello nel suo ruolo di Datrice-di-vita, ma sembrerebbe che la sua presenza dell’immagine della gru sarebbe motivabile da altro: l’onnipresenza del volo nel mito del labirinto – c’è anche il volo di Dedalo, l’architetto del labirinto e di suo figlio Icaro – troverebbe il suo perchè nell’esperienza percettiva reale di allontanamento dal terreno; le continue circonvoluzioni della danza danno una sensazione di vertigine, che tutti noi abbiamo provato, simile alla sensazione del sentirsi volare via. Da qui la necessità di aggrapparsi a qualcosa per evitare di cadere, per ancorarsi a terra – la fune della danza, il filo di Arianna nel mito.
Così il labirinto è morte, sprofondamento nel terreno, ma anche rinascita, volo, “opposto zenitale del pensiero della Morte“.

Il labirinto si fa quindi direzione. É un viaggio nell’oltretomba e ritorno, esperienza di perdita di sé nelle viscere della Terra per riconquistare la via e la vita. Non è un caso che nel centro l’iniziato incontra “se stesso, con la realtà interiore, con la divinità, con il mostro”: in ogni caso l’epifania è talmente profonda da richiedere una svolta e un cambio di rotta. Così inteso il labirinto diviene una sorta di riproduzione della labirintico utero terrestre, delle sue grotte e nicchie, seguendo il quale il visitatore percorre un percorso di iniziazione.
Fino al monstrum – etimologicamente il segno divino, il prodigio – il Minotauro, uomo e toro, animale sacro, simbolo di terra e cielo – le sue corna rappresentano la falce della Luna.

Alla prossima puntata…

Fonti:
“Labirinti. Storia, geografia e interpretazione di un simbolo millenario” di M. Cristina Fanelli, Il Cerchio, 1997
“Il linguaggio della dea” di Marija Gimbutas, Le civette di Venexia, 2015

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