Viaggio con paesaggio e le feste nei giardini islamici

Testo di Eleonora Diana

“Quelle sue feste scintillanti, abbaglianti, erano in me così vivide che ancora potevo sentire la musica e le risa tenui e incessanti provenire dal giardino”
(da “il Grande Gastby” Francis Scott Fitzgerald)

Un giardino e le sfavillanti luci della festa. Tappeti, seta e danzatrici. Godimento del silenzio, tende nomadi, vino in quantità.
Ecco a voi le seduttive feste nei giardini islamici!

Non esiste in realtà un giardino islamico, esistono i giardini del mondo islamico, nati da influenze ed eredità di tre etnie preislamiche, ovvero quella araba, persiana e turca, insieme alle rispettive visioni di natura e paesaggi. Fino al 1256 i giardini hanno tendenze estetiche simili, poi prendono strade proprie.
Nel mondo arabo sono luoghi di bellezza libera e piaceri in terra, dove le feste sono sempre benvenute. Nella cultura turca di Tamerlano i padiglioni-tenda in seta punteggiano i prati.
Diamo iniziamo alle danze!

Il giardino dei piaceri


Seducente, sensuale e carnale.
Il giardino del mondo arabo è un luogo per il godimento dei cinque sensi e nasce con questa finalità estetica e seduttiva. “Solo nell’hortus conclusus, protetto da alte mura dalla polvere e dai rumori, l’arabo gioisce in solitudine dei profumi e dei colori con piacere sensuale, chè il giardino arabo è luogo essenzialmente laico: paradisus voluptatis.”1

Alcuni ingredienti sono essenziali perché la magia avvenga.
L’acqua, componente estetico-seduttiva importantissima, è la firma di riconoscimento di una comune idea di bellezza. È piacere sensuale sia per il suo gorgheggiare, sia per la sua luce scintillante. È godimento con il suo sapore rinfrescante e gustoso:“e saranno onorati in Giardini di delizie su giacigli affiancati e circolerà fra loro un calice di licor limpidissimo chiaro, delizioso ai beventi che non darà male al capo e non ne saranno inebriati.“2
E così la vegetazione. È bella con il suo verde frondoso, saporiti e dolci sono i suoi frutti. È portatrice d’ombra e di pace per il corpo: “E della loro pazienza li ha premiati, premio di giardino e di seta dove staranno adagiati su alti giacigli, e non vedranno sole, e non vedranno gelo e, vicine, l’ombre, e i frutti, dolcemente umiliati, delle ombre.”3

Il giardino è lo spazio per eccellenza di iniziazione ai piaceri dei sensi: fanciulle dagli occhi grandi e neri su cuscini verdi e tappeti splendidi, tra palme e melograni, gelsomino, fior di ligustro, pepe, lavanda, rose d’ogni tipo, piantaggine, mirto.
È ricompensa per i giusti e i pazienti, ma nessuno sfidi la bellezza di quello ultraterreno promesso nel Corano. Pena, una punizione certa.

Ma’mūn, laqab della dinastia abbaside nel XI secolo, fece costruire a Toledo un bellissimo salone-giardino chiamato Al-Mukkaram e al suo interno due enormi alberi d’argento, attraverso cui veniva fatta salire l’acqua, raccolta in due vasche alla base, e dai quali poi ricadeva sotto forma di pioggerella o rugiada.
Fece poi realizzare, in mezzo a un laghetto, un padiglione di cristallo: in centro il re si sedeva senza bagnarsi mentre sulle pareti un velo d’acqua scorreva continuo attraverso un meccanismo estremamente complesso. Se poi venivano accese piccole luci, il padiglione scintillava dall’interno. Pura bellezza, pura magia.

Un giardino siffatto, così voluttuoso e seducente, è luogo preferenziale per godimenti carnali. La sessualità, la festa e il giardino instaurano così un legame a doppio filo, esplicitato soprattutto nel mondo dell’harem. L’ idea dell’harem viene da una ossessione dei sovrani del vicino Oriente, un modo per dimostrare ricchezza e benessere. Il termine, insieme a harlot e houri, provengono tutti dalla medesima radice babilonese Har, nome di una parte del tempio di Ishtar, famoso santuario di sole donne.
Nella Persia degli Achemenidi i re erano famosi per il vertiginoso numero delle donne che venivano loro inviate da più di 20 nazioni: il re Artaserse II aveva fino a 300 donne e 118 figli. Si racconta che un sovrano sassanide (seconda dinastia persiana) avesse nel proprio harem 3000 mogli e 12000 donne.
Su questa tradizione persiana, con tutta la complessità del rapporto con il sesso del mondo islamico, si sviluppa la tradizionale visione del mondo arabo e del suo harem, tra danza del ventre, seta, cuscini, tappeti e trame di potere.
È nell’India voluttuosa, e nei suoi giardini moghul, che nasce un misto tra sessualità tantrica e sessualità islamica.
“Nell’XI secolo il re indiano Shrenika organizzava orge vegetariane le cui portate non erano contraddistinte dagli ingredienti che le costituivano, ma da come andavano mangiate; il primo piatto consisteva di frutta da masticare, c’erano poi i piatti da succhiare, quelli da leccare e così via” ci racconta Lee Allen, scrittore, giornalista e reporter.

La città-giardino, i padiglioni-tenda e le mesire


Nel giardino ottomano, le feste, il godimento e l’edonismo seducevano attraverso un’altra forma, molto meno carnale.
Per prima cosa, nella costituzione di un giardino non c’era alcun intento di ricreare artificialmente uno spazio da sogno, non c’era una tradizione oasiana alla spalle (> Viaggio con paesaggio nel sogno seduttivo del giardino persiano).
Il godimento della natura avveniva in natura. Erano le “visuali, piante, vedute, spazi”4 a trasformarsi in punti nel paesaggio per contemplare il paesaggio stesso, senza strutture architettoniche che lo modificassero o lo dominassero.
Ogni luogo poteva diventare un giardino, in qualsiasi momento, e goduto attraverso scampagnate – accampamenti, i mesire. Si racconta infatti che “intere famiglie e gruppi di amici occupano per ore, qualche volta per giorni, un determinato spazio, vi innalzano tende.”5
L’amore per i padiglioni mobili era un’abitudine cara soprattutto a Tamerlano e alla sua Samarcanda, nei cui giardini il condottiero li faceva allestire con coperture di seta, dalla forte connotazione nomade, per le feste.
“uno dei padiglioni di Tamerlano costituiva invece un vero e proprio palazzo mobile. Era di forma quadrata e sovrastato a una struttura cupolata alta più di dieci metri. Questa era sostenuta «da dodici pali, grossi quanto può esserlo il petto di un uomo, dipinti in azzurro, oro e altri colori». All’esterno presentava una sorta di portico formato da 24 pali più piccoli e 40 cordoni d’oro che tenevano tesa tuta la struttura. L’interno e l’esterno erano completamente rivestiti di «bellissimi tessuti di seta operati in diverse maniere e di svariati colori, orlati, con filo d’oro. La parte più ricca era la decorazione della volta che rappresentava, ai quattro angoli, delle figure di aquile con la ali spiegate.”6
Il vino scorreva a fiumi prima di mangiare, con l’ovvia conseguenza di vedere tutti ubriachi.
Ci racconta Giulia Cazzola che “l’effetto (era) di vere e proprie città fittizie, creazioni di corde e tessuto” e la grande tenda al centro dell’accampamento era “una struttura che aveva le parvenze delle normali architetture, ma che, in realtà, si componeva di sole stoffe su impalcature di legni e corde tese”.

Il padiglione-tenda, spesso un baldacchino con la copertura in seta, era una delle consuetudini distintive anche della Persia safawide, dal 1501 al 1736, per le battute di caccia dello scià. Era dotato di fontane e intorno, per rievocare la presenza di un giardino, venivano piantati dei fiori e organizzati picnic chic e cene seduti a terra.
A Isfahān, nel 1619, Pietro della Valle ad esempio, ricorda l’arrivo dell’ambasciatore spagnolo e della bellissima festa all’aperto organizzata per l’occasione. Tutto intorno folti alberi grandissimi e platani con la loro ombra. E poi una peschiera su cui si affacciava, come una penisola, una loggetta, ricoperta solo da un leggero tetto e aperta su tutti i lati.
Arrivava la sera e i convitati venivano accomodati intorno alla peschiera mentre “stava preparata sopra i tappeti in terra la cena”7, imbandita a festa, con “quantità di piatti grandi, di oro, e di argento, coperti a cupola”8. Il banchetto notturno era illuminato da grandi candele sopra i drappi a terra che fungevano da tovaglie, e da lucerne di grasso sopra i bacili. Il tutto si specchiava nell’acqua, mentre strumenti e voci accompagnavano la conversazione.

La vivibilità dell’ambiente esterno e la passione naturale è trasversale a tutti i giardini islamici, ma nel mondo ottomano si sviluppa con proprie unicità.
L’“edonismo ambientale” ottomano si basa su una serena contemplazione: basta trovare una seduta, un angolo di un prato dove ci si possa sedere, riposare, cantare e mangiare, ma con una precisa attitude per godere del contesto: “la lentezza dei movimenti e il sedentarismo nella vita associata, la compostezza, il senso di quiete e l’amore del silenzio sono fattori comportamentali che incidono non poco sul senso dello spazio e sulla scelta dei luoghi e delle forme nella civiltà ambientale degli ottomani.”9

Impregnava anche l’idea stessa dei giardini in città e del loro rapporto con le strutture.
Un albero, un angolo di prato, tutto poteva diventare giardino: “Un cortiletto pavimentato può esprimere lo stesso sentimento per lo spazio naturale di un giardino di rose e di cipressi, perché in ambedue l’apertura verso il paesaggio, i legami con sedili e chioschi sono gli stessi.“10
La città infatti si relaziona e dialoga continuamente con il contesto, determinando una forma urbana aperta: non esistono precisi confini che la dividono dalla campagna, non è una città murata, diventa tentacolare, irregolare e funzionale a una vita di rapporto con la natura. Sembra avere una mancanza di struttura, in quanto noi la guardiamo con una logica razionalizzante e sbagliata: “In questo senso la cultura ottomana contiene elementi asiatici più che mediorientali, resta distante dalla concezione spaziale dell’Europa mediterranea più di quanto non lo siano le architetture araba e persiana.”11
É la massa verde, città-giardino di Samarcanda voluta da Tamerlano: pioppi e alberi piantati secondo il colore delle foglie e il loro profumo, tanto che, si racconta, sembra di camminare in una foresta con una città adagiata nel mezzo. L’amore turco per i fiori, ma soprattutto per gli alberi, le regala una veste non per forza esuberante e colorata, ma verde, con una natura onnipresente. Ogni cortile ha una pavimentazione che lascia spazio a un albero.
Interno ed esterno si fondono. É l’eredità del nomadismo delle praterie, con padiglioni aperti, effimeri e removibili, case con vista senza recinzioni e limiti, dove il giardino nasce da un’epifania interiore, in ogni angolo.

“Per l’abitante della città ottomana non sembra esserci felicità senza la contemplazione di un pezzo di natura che nessun giardino artificiale potrà sostituire.”12

Fonti:
Sex, the World History: Through Time, Religion and Culture by John R. Gregg (Xlibris Corp, 2019)
“Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli (Electa, 1994)
“Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati (Leo S. Olschki, 2006)
“L’effimera arte dei giardini islamici: il giardino indo-islamico mughal” relatore Sara Mondini, laureanda Giulia Cazzola (Tesi di laurea pubblicazione Ca’Foscari di Venezia)

Note
1 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 9;
2 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 13;
3 Idem;
4 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 221;
5 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 226
6 “Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati,pag 149 e 150;
7 “Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati, pag 150;
8 Idem
9 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 224
10“Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 226
11 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 223;
12 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag. 223;

Cerca