Viaggio con paesaggio tra le erbacce di Consonno

Testo di Eleonora Diana

Esiste un luogo tra Como e Lecco che sembra uscito da “The Walking Dead” o “28 giorni dopo”, mangiato dall’erba e dal tempo.
É un mix tra l’”archeologia industriale” e il “fascino delle rovine”, ampiamente ritratto nella fotografia urbex, sempre alla ricerca di zone urbane abbandonate.
Visitabile con alcune precauzioni – rimane una proprietà privata e gli edifici sono in stato di abbandono – il luogo è annunciato da cartelli arrugginiti con slogan come “Qui tutto è meraviglioso”.

La “Las Vegas” di Consonno


Signore e signori, ecco a voi Consonno!
La “Rimini brianzola”, la “Las Vegas italiana”, la “Città dei balocchi”.

La sua forma originale era tutta diversa: antico borgo medioevale con una Chiesa dell’Alto Medioevo, tra cascine, castagni e sedano, mulattiere e boschi.
Il toponimo è già citato in una pergamena del maggio 1085.

Poi arriva il conte Mario Bagno, che la rade al suolo negli anni ’60 per fare spazio a una “visione”.
L’entusiasmante boom economico spinge l’eccentrico e ruggente imprenditore italiano a costruire un micro mondo stravagante con caratteristiche tutte sue: una galleria commerciale in stile arabo con tanto di “minareto”, la balera, l’autoscontro e il “ristorantino”. Poi la pagoda cinese e il missile “Bagno”, il trenino panoramico, le fontane e l’hotel di lusso, il castello medioevale, il progetto di un circuito automobilistico, le sfingi e i colonnati Dorici del “Grand Hotel Plaza”.

Il paesaggio sul lago è da cartolina e la posizione invidiabile, così vicina a Milano, ma a due passi da Lecco e Como.
Ecco che in alcuni anni la struttura diventa “un must” da visitare nel weekend.
Ma la poca attenzione al contesto idrogeologico causa il susseguirsi di due frane a poca distanza una dall’altra, allontanando da Consonno ogni interesse.

Così il parco giochi viene dimenticato e mentre si trasforma in uno dei classici luoghi abbandonati dagli umani, diventa vitale per un’esistenza più nascosta e silenziosa, ma assolutamente perseverante, tenace e vigorosa: le erbacce!

Tra le erbacce


Che cos’è un’erbaccia?

Secondo Richard Mabey:
“quando intralciano i nostri piani o le nostre mappe ordinate del mondo, le piante diventano erbacce”.

La definizione di erbaccia dipende quindi dal contesto: in un luogo una pianta è ornamentale, ma quando diventa invasiva e invadente, resiste e cresce in un ambiente abbandonato, la definiamo erbaccia, curativa o alimentare in un secolo, esiliata nell’altro.
É una pianta cresciuta nel posto sbagliato, tanto che spesso la malerba “è vittima di un reato di associazione a delinquere” e se cresce tra i rifiuti, diventa un’”immondizia vegetale”.

Ma “Qual è il ‘posto giusto’ per una pianta?”
Non esiste un posto giusto, ma sicuramente un tempo adatto.
Il termine “erbaccia” è un’etichetta tutta umana. Con sé porta un giudizio di valore: si comportano male, le erbacce, perché sono tossiche o selvatiche o restie a rimanere negli schemi di cultura specifica.
Secondo Emerson una malerba è “una pianta le cui virtù non sono ancora state scoperte”.
É il nostro punto di vista che manca, non la loro struttura.

Spesso anche chi le ama, rischia – per proprietà transitiva – di essere tacciato di erbacismo, come accadde nel 1975 all’esperta orticoltrice Beth Chatto.
Helleborus foetidus, ora amato nei giardini, è tipico dei boschi; ma quando Beth lo presentò per la prima volta all’esposizione della Royal Horticultural Society, rischiò l’espulsione per aver proposto quella che, per le umili origini, era classificata come erbaccia.

Quali sono le erbacce?
Gramigna, dente di leone, ortica, piantaggine, assenzio, centocchio, bardana, senecio, farinello comune, malva selvatica, giusquiamo nero, tasso barbasso, ecc. ecc.

Come si può diventare un’erbaccia?
Per chi aspiri alla trasformazione, due sono gli ingredienti fondamentali: caparbietà, creatività e audacia.

Un colono dello Stato di Victoria racconta:
“Un giorno ci imbattemmo in un cardo asinino che cresceva accanto a un tronco, non lontano dai capannoni delle stalle, ovviamente un seme uscito dal foraggio dei nostri cavalli… Lo avvolgemmo in un foglio di giornale e vi posammo sopra una pietra. In pochi giorni era bello pressato e lo mostrammo con molto orgoglio. Chi avrebbe mai pensato che, una ventina di anni dopo, il cardo asinino si sarebbe diffuso nella nuova terra, diventando un fastidio, al punto che alcuni distretti e contee ne imposero per legge l’estirpazione?”

Impavide e inventive, le erbacce trovano infiniti modi di espansione.
In America, molte delle infestanti sono immigrate europee: impigliate nei vestiti, nei risvolti e nelle pieghe dei tessuti, insieme al grano da semola, negli zoccoli, sul manto o nel ventre degli animali. Seguono poi le strade o i binari dei treni per invadere, appezzamento dopo appezzamento, nuovi terreni, sempre più in là.

L’Inghilterra del XVII e XVIII sec. è il crocevia dei viaggi intercontinentali delle escursioniste: agganciate alle altre colture, dentro i vasi o appollaiate nelle casse da viaggio, invadono le nuove terre. Salutate con entusiasmo, utili come medicinali e cibo, oppure semplicemente belle, presto diventano nemiche da estirpare.

Una delle tipiche avventure delle erbacce è quella dell’Oxford ragwort (Senecio squallidus o senecio montanino).
Viene vista per la prima volta a metà del ‘700 nel giardino botanico della Oxford University da Sir Joseph Banks, già incontrato nella caccia alla Peonia moutan.

Ma come arriva a Oxford, considerando che cresce nei terreni vulcanici dell’Etna?
Probabilmente trasportata da qualche botanico in tour, oppure ospite di vasi in viaggio dalla Sicilia, con i semi aggrappati alle radici di qualche altra pianta. Poi dall’orto di Oxford verso le mura e oltre, si impadronisce dei vicoletti, svolta a destra, poi a sinistra e ancora a destra, fino al 1830, quando arriva alla stazione ferroviaria. Da qui amplia a dismisura i suoi orizzonti.
Uno dei testimoni dell’epoca, George Claridge Druce, racconta come “I semi seguivano i convogli, fluttuando, a volte anche in mezzo ai vagoni”.
Va di città in città, finché la seconda guerra mondiale con i bombardamenti apre squarci al suo avanzamento. Salisbury nota come sia ormai diventata la terza pianta infestante.
“È il 1944 e, secondo la promiscuità tipica delle erbacce, dà vita a un ibrido insieme a una cugina stretta, il Senecio vulgaris, generando quella che, ribattezzata, è la London ragwort.”

Attenzione quindi… quando visiterete Consonno, noterete tutta la biodiversità che sta riconquistando terreno. E non sarà poi così male.

Lunga vita alle erbacce!


Fonti:
“Elogio delle erbacce” Richard Mabey (Ponte alle Grazie, 2011)
atlasobscura.com
mangiaeviaggia.it
Associazione Amici di Consonno
siviaggia.it
lesereneredellasere.myblog.it
consonno.it
alessiodileo.it

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