Viaggio con paesaggio di lago e il “tatzelwurm”

Testo di Anna Rapisarda Visual Designer

Un giorno qualcuno disse “Le leggende racchiudono verità occulte e incontestabili che ci accompagnano nella nostra evoluzione sociale e che ognuno di noi inconsapevolmente accoglie e accetta”. Un pensiero che si addentra negli antichi meandri della nostra cultura, tra realtà e fantasia.

Racconti popolari e bizzarre creature


Nei racconti popolari che sopravvivono nel tempo, si distinguono i tratti e le sfumature che costituiscono la sostanza di una verità smarrita. Con loro e in loro si rievocano i ricordi più nobili di una realtà perduta.

È con questi racconti che, agli inizi del XIX secolo, il naturalista Carlo Amoretti si convince dell’esistenza di lucertoloni sulle montagne intorno al lago di Como: amano succhiare il latte alle mucche, sono lunghi più di due metri, hanno coda tozza e quattro corte zampette (a volte due secondo altri avvistamenti).
Rimane così colpito e affascinato dalle storie dei locali, fino al punto di riportare le misteriose serpentane nella quarta edizione del suo “Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como”.
Nei decenni successivi gli avvistamenti popolano sempre più i racconti e i luoghi fra monti e lago, come Garzeno e Rezzonico.

È l’epoca d’oro del tatzelwurm, così definito dai criptozoologi.
Il leggendario “serpente con le zampette” appare su dizionari, almanacchi alpini, riviste.

Paesaggi da leggenda


I nostri paesaggi, alpini e subalpini, sono teatro di queste leggende, tra grossi sauri e lucertole giganti che si aggirano nei boschi selvaggi.
Chissà se le “curandere” dell’Ottocento, le conoscitrici dei segreti delle piante velenose, chissà se gli “erburari” delle nostre montagne, abbiano mai incontrato il tatzelwurm nel loro peregrinare tra le foreste lariane.

Immaginare il lucertolone dalla coda tozza aggirarsi nei paesaggi che circondano il lago, tra castagni e carpini, mentre risale le pendici dei monti tra faggi, abeti, larici e pini, nelle praterie ai margini dei boschi, è un invito a ripercorrere quei sentieri antichi e odorosi, con gli occhi attenti agli incontri più incredibili.
Dall’orchidea al dittamo, dall’elleboro al cipollaccio stellato, dal raperonzolo delle rocce alla silene della regina, e chissà… fino a incrociare, tra una foglia e un petalo, lo sguardo dello schiva serpentana.

(…) “Il bosco, per noi, continua a essere limite dell’ordine, confine invalicabile di una società civile che per secoli non ha fatto altro che dominarlo, meccanizzarlo e che (ce lo dice Carlyle) ci ha resi ‘meccanici di intelletto e di cuore, come di braccia’. Eppure, proprio mentre continuiamo a manipolare lo spazio, perfezionandolo e cucendocelo addosso, il bosco resiste e ci attrae: universo privato con molte vie d’uscita o luogo della rigenerazione, il bosco alimenta in noi una costante riflessione etica ed estetica”. (…)
(dalla postfazione di Stefano Brenna in “La consolazione delle piante” di Pietro Testori)

Addentriamoci nei boschi.
Lasciamoci tentare dalle suggestioni, dall’universo leggendario dei racconti, scrigni di memoria dei luoghi e delle tradizioni, custodi dal fascino arcaico e ancestrale di una natura e di una cultura da conservare e proteggere.

Fonti:
“La consolazione delle piante. Medici, speziali ed erboristi del territorio comense tra Ottocento e Novecento” Pietro Testori (garage edizioni, 2015)
“Storia e leggenda del Serpentegatto” Marcoenrico Manoni (Giovane Holden Edizioni, 2016)

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