Testo di Eleonora Diana
“La prima versione della storia di Adamo ed Eva narra di una cena seguita da sesso. Da allora questo abbinamento ha sempre destato l’interesse degli scrittori. Secondo alcune ricerche, il 98 per cento delle storie di seduzione in letteratura sono precedute da una cena”.
(Stewart Lee Allen)
L’atto di mangiare e quello di sedurre possono essere considerati una diversa faccia della stessa medaglia, i confini dell’uno sfumano nell’altro, soprattutto quando ad aiutare la sovrapposizione ci si mette la portata principale che, tra fama di afrodisiaco e sacralità, é il cibo sessuale per eccellenza.
Se lo sia stata prima per gli olmechi o prima per i maya non lo sappiamo, ma certo è che la cioccolata fu per le popolazioni dell’America Centrale un vero amore carnale.
I semi di cacao erano usati come mezzo di scambio e, come tutte le monete, c’era anche chi le contraffaceva: gli archeologi scoprirono nascondigli in cui erano state messe delle perfette riproduzioni in ceramica. Se ne accorsero solo rompendone alcune per caso.
Una cosa preziosa
Calda e fredda, colorata, aromatizzata e profumata.
“C’erano delle eccellenti cioccolate verdi-azzurre, chiamate tlaquetzalli. C’erano cioccolate rosse aromatizzate all’annatto, ce n’erano altre rosa, arancione o bianche e nere. Molte erano aromatizzate al miele selvatico o alla vaniglia o all’essenza di fiori. C’era anche una bevanda alcolica fatta con la polpa dolce del seme. (…) All’epoca la cioccolata era una bevanda densa, servita calda, profumata con peperoncino piccante”.1
La più famosa, quasi a pari merito della tlaquetzalli, che significa “cosa preziosa”, era quella della nobiltà atzeca: nella versione più sacra era coperta da una spessa schiuma, su cui aleggia ancora un profumato mistero. È probabile che venisse da un seme di cacao sotterrato per sei mesi che, dopo essere diventato bianco gesso e dopo un lungo processo di lavorazione, veniva sbattuto come l’uovo montato a neve e unito a una bevanda calda a base di mais.
Chiaramente era un lusso riservato alla classe dominante, gustato a fine cena insieme al tabacco. L’unico momento in cui usciva dall’élite era quando veniva offerto nei rituali.
“Alle vittime dei sacrifici umani, infatti, veniva dato un bicchierone di itzpacalatl, una bevanda a base di cioccolata e sangue umano, prima che il sacerdote strappasse loro il cuore ancora pulsante. La bevanda pare avesse un effetto sedativo sulle vittime, ma il suo consumo aveva anche un significato simbolico, poiché gli aztechi ritenevano che il seme di cacao rappresentasse il cuore umano, e il suo succo il sangue”.2
Non è tutto qui!
Considerata un potente afrodisiaco, la cioccolata era un tabù per donne e sacerdoti. Si racconta che l’imperatore Moctezuma “ne tracannasse cinquanta bicchieri al giorno, e ne beveva una miscela speciale prima di affrontare il suo esercito di mogli”.3
Afrodisiacamente parlando, un vero “toccasana” era considerato l’incontro fra cacao e peperoncino, anche lui apprezzatissimo stimolante e citato in uno studio indiano sull’erotismo del XV secolo come portentoso aiuto spalmabile per la donna o nel cui succo le donne africane, si narra, facessero il bagno.
Le ricette sono solo ipotizzate, a parte quella che ci giunge da Thomas Gage, avventuroso viaggiatore del XVII secolo.
“Put into it black pepper which is not well approved of by the physicians because it is so hot and dry, but only for one who hath a cold liver, but commonly instead of this pepper, they put into it a long red pepper called chile which, though it be hot in the mouth, yet is cool and moist in operation. It is further compounded with white Sugar, Cinnamon, Clove, Anise seed, Almonds, Hazelnuts, Orejuela [anona], Vanilla, Sapoyall [mamey], Orange flower water, some Muske, and as much of these may be applied to such a quanitie of Cacao, the several dispositions of Achiotte, as it will make it look the colour of a red brick”.4
Alla conquista del mondo (e del letto del re)
Comunque, il cacao e la cioccolata, con o senza peperoncino, con o senza le piú strane spezie, arrivarono anche in Europa grazie ai conquistadores che se la facevano servire dalle proprie mogli e concubine in quella che poi fu consacrata la classica versione, ovvero calda con l’aggiunta di zucchero di canna.
L’arrivo della “bella scura” alle porte dell’Europa creò interessanti cortocircuiti.
Mentre Linneo la definiva theobroma, “alimento divino”, contemporaneamente entrava a pieno titolo nelle tentazioni carnali della tavola.
Negli altipiani maya del Chiapas, due chiostri di suore domenicane erano diventati famosi non per la loro carità, ma piuttosto per la loro abilità nel preparare la cioccolata, mentre le signore europee, trasferitesi in Guatemala, ne bevevano una coppa durante la messa, probabilmente al posto dell’eucarestia. Il vescovo locale che cercò di condannare il comportamento, descrivendolo come scandaloso e stregonesco, finì avvelenato per mano di una madama killer spinta dal desiderio di liberalizzare la bevanda e sicuramente sostenuta dalle altre nobildonne.
Mentre una parte della Chiesa cercava di reprimerne il consumo, i Francescani la commerciavano con la Spagna in un’operazione dall’importante ritorno economico e pubblicizzata in ogni forma: dal permetterla durante la Quaresima alla commissione di quadri raffiguranti angeli che offrivano tazze di cioccolata ai penitenti.
Con Maria Teresa d’Austria, che proveniva dalla nobiltà spagnola, la nera bevanda venne presentata alla corte francese: dapprima accolta con fischi, poi limitata dal divieto di berla in pubblico per questioni di morale e buoncostume, infine un must a corte.
Subí ancora momenti di isolamento, rifiutata per qualche tempo – le donne che la bevevano avrebbero avuti figli color del carbone, si diceva – ma quando tornó in scena lo fece con i fuochi d’artificio, dato che Luigi XV “impose alla sua amante, Madame de Pompadour, una dieta a base di veloutée di tartufo e cioccolata calda, per ‘risvegliare’ i suoi appetiti amorosi”.5
Purtroppo la dieta non ebbe buon esito. Ingrassata, retrocessa al ruolo di “consigliera del sovrano”, una sorta di talent scout per promettenti amanti del re, portò in scena la “divina principessa delle cortigiane, meretrice/dominatrice, Madame du Barry“.6
Scalatrice sociale per antonomasia, l’ex cortigiana aveva un trucco infallibile per entrare così velocemente nelle grazie del sovrano: la cioccolata! Gli utilizzi erano svariati, le conseguenze prevedibili e gli anni di esperienza della madame facevano il resto.
Ai contadini la birra, all’indaffarata classe media caffè e tè e agli aristocratici la cioccolata, status symbol di un ceto sociale e della sua goduriosa seduzione, lasciva e molle.
Note:
da”Nel giardino del diavolo. Storia lussuriosa dei cibi proibiti” ( versione kindle)
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5 e 6 posizione 469
4 da recipes.hypotheses.org
“Mettici del pepe nero che non é poi così tanto ben visto dai medici in quanto é caldo e secco, ma soltanto per chi ha un fegato freddo. Di norma al posto del pepe, loro ci mettono un pepe lungo e rosso che chiamano peperoncino che, nonostante sia caldo mentre lo si mangia, tuttavia é freddo e umido nella sua azione sul corpo. Per di più la cioccolata si può mischiare con lo zucchero bianco, la cannella, i chiodi di garofano, l’anice, le mandorle, le nocciole, l’Orejuela (ovvero l’annona), la vaniglia, il Sapoyall (Pouteria sapota), l’acqua di fiori d’arancio, i semi di abelmosco, e come molti di questi in diverse quantità si possono aggiungere alla cioccolata, così anche l’annatto, che le fa prendere un colore rosso mattone.”
Fonti:
“Nel giardino del diavolo. Storia lussuriosa dei cibi proibiti” Stewart Lee Allen (Feltrinelli, 2015)
“Piccola storia delle drighe” Antonio Escohotado (Donzelli editore, 1996)
eataly.net
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