Natura sensitiva e l’anello di Re Salomone

Testo di Davide La Salvia | Water Nursery

Il racconto (e la nascita) di un cacciatore di piante (acquatiche)

“(…) recatevi con un vasetto ed un acchiappafarfalle allo stagno più vicino, immergete alcune volte la rete, e raccoglierete una miriade di organismi viventi. In quella reticella è racchiuso per me ancora oggi l’incanto della fanciullezza (…)”
(Konrad Lorenz, padre dell’etologia e premio Nobel pe la fisiologia e medicina)

Quante volte mi sono interrogato su questo passo di Lorenz, in cui nel Best Seller “L’anello di Re Salomone”, descrisse in maniera così toccante la sua iniziazione a quello che sarebbe poi diventato il “Naturalista” per antonomasia.

Non sono Lorenz (e lo so bene), neanche un (grande) naturalista, ma un innamorato della natura e dell’acqua si, e quanto possa aver influito sulla mia vita un retino, e le scelte successive, me lo chiedo ancora.
Sono nato nell’Agro Pontino, terra bonificata dalle paludi, in cui l’acqua è stato ed è l’elemento dominante, che ha condizionato generazioni. Ninfa, il parco del Circeo, le isole pontine, i laghi, i canali di bonifica, tutto ruota intorno all’acqua. E io non potevo rimanere escluso da questo elemento. Mi capitava di passare alcuni giorni d’estate dai miei nonni, contadini venuti dal veneto per la bonifica, e passare le giornate a pescare nelle scoline davanti il podere.

Tanti spinarelli, pesciolini in via d’estinzione dai bei colori e dalle abitudini particolari (il maschio costruisce un nido in cui rinchiude la femmina e monta di guardia), rane, raganelle, tritoni (ne era infestato l’Agro Pontino), oggi praticamente scomparsi. E poi Emis orbicularis, le testuggini palustri, di cui abbondava ogni corso d’acqua, orbettini, persici sole.

Sottraendo a nonne e madre i vari secchi, bagnarole ed ogni altro contenitore che potesse essere adattato allo scopo, costruivo acquari, terrari sicuramente poco belli ma molto efficaci.

La grande biblioteca di mio padre in noce costruita dal nonno falegname, non appena imparai a leggere e scrivere, fece il resto. Mi arrampicavo usando i ripiani come gradini per raggiungere i libri più alti. Non c’era internet, ma le ottime pubblicazioni e tanta voglia di sapere colmavano questa lacuna, anzi mi consentirono di arrivare più che brillantemente fino al terzo anno delle superiori senza mai aver aperto un libro di testo scolastico.

L’acqua. Nella mia vita. È entrata così, attraverso un retino. Nuoto, sub, vela, canottaggio, l’istituto nautico, il servizio militare in marina come sommozzatore, i brevetti conseguiti come istruttore di nuoto, di subacquea, assistente bagnanti. Acqua acqua acqua.

Il sogno? Lavorare nella natura, per la natura.

E poi la vita. Che spesso interrompe i tuoi sogni, ma che a volte ti permette di riprenderli, di coltivare le tue passioni. Come è successo a me: acquari di tutti i tipi, tropicale d’acqua dolce, tropicale marino, ecc… Alla fine, dopo aver riprodotto pesci difficili e piante, dovevo assolutamente realizzare quel laghetto fino ad allora negato da spazi limitati e limitanti.

Inutile dire che il giardino di casa era diventato completamente acquatizzato: cascate, laghetti, piante tropicali, giochi d’acqua. Sembrava di essere ai tropici. Ma lo spazio era troppo piccolo per la crescente collezione di piante, ormai “zippate”. Già, lo avevo saturato con tante, tantissime ninfee rustiche e tropicali, fior di loto, piante palustri, arbusti ed alberi da zone umide.
Una continua ricerca, un’incessante sperimentazione, la necessità di altro spazio, di nuovi laghetti.

Sembrerà strano, ma le nuove piante escono dai libri.
Si inizia dalla carta, dallo studio dell’habitat di provenienza, dal ragionamento, dalla prova. E poi la proposta di tante piante sconosciute in Italia. Divulgare il vero carattere di piante già in commercio, ma che nessuno sapeva essere palustri e/o acquatiche. Quante soddisfazioni nell’osservare lo stupore degli addetti ai lavori davanti a piante “annegate” e ritenute da secco come la Ruellia brittoniana, e messicana, gli zephirantes, …

La fame di sapere, di testare, di proporre. Sempre più forte. Il volano su cui ruota l’impegno.

Gestire un Vivaio è molto complesso, non bastano passione ed entusiasmo. Servono organizzazione, risorse, tempo, una corretta gestione che lascia poco spazio alla poesia, ai voli pindarici. Primum vivere deinde philosophari, prima vivere poi fare filosofia.

Mi ritengo fortunato, molto fortunato… Ai figli la gestione del vivaio, a me la libertà di fare filosofia.
E per un filosofo la cui tesi ha avuto per oggetto “Il fine della natura”, è la realizzazione di un sogno. Un sogno acquatico.

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