Testo di Eva Boasso Ormezzano, appassionata collezionista di Hydrangea, ricercatrice e autrice di numerose pubblicazioni. Tra gli ospiti di Orticolario 2017
Tutti gli anni aspetto con impazienza il plenilunio di fine maggio, anzi la settimana che ruota attorno alla luna vecchia tra maggio e giugno.
Ho bisogno della sua luce per ammirarne la sera i giochi dei riflessi su un’ortensia del giardino, sulla mia ‘Bluebird’ che preparo con cura. Il cielo deve essere terso, nessuna nuvola deve intromettersi.
A fine maggio questo bellissimo cespuglio dal successo intramontabile, nato dalle mani di un ibridatore inglese, prende forma e si copre di infiorescenze piccole e piatte.
Sì è vero, le sue foglie hanno la lamina sottile, non sono propriamente rigogliose nonostante l’apice allungato e il margine intagliato, netto e ben disegnato: non sono le foglie spesse e brillanti delle ortensie diciamo “classiche” ma il suo appartenere alla specie più rustica Hydrangea serrata, le fa accettare ore di sole diretto che le coloreranno di rosso acceso in autunno.
Le infiorescenze si aprono a decine attorno al cuscino di minuscoli fiori fertili che danno forma al suo cuore, una corona di fiori sterili dalla simmetria perfetta lo circonda, discreta. Ogni fiore porta quattro sepali a goccia leggermente allungati, ben distesi e lontani tra loro, a croce: non potete non riconoscerla fra tante.
La stretta relazione alchemica che qui lega i suoi pigmenti, il suolo e l’acqua circolante fa sì che di giorno il suo colore sia un celeste tenue seppur deciso: interessante, ma che un po’ si perde tra le altre ortensie più grandi e appariscenti che la circondano. Sotto i raggi della Luna, invece, il cespuglio si accende all’improvviso, un azzurro vivido inaspettato deborda dai fiori in una chiazza a tratti bianca a tratti grisellina, che balugina ad ogni minimo sbuffo d’aria: è un impareggiabile flash tra le ombre disegnate sul prato mentre tutto il resto svanisce nel buio del giardino.
E allora resto ferma a fissare nella memoria quel colore, quell’immagine che nessuna fotografia sa restituire, come se la Luna fosse lì, più bianca e pallida ma a portata di mano, fino a quando proprio l’ombra dell’acero che protegge ‘Bluebird’ chiude inesorabilmente lo spettacolo.
Lo so che la luce che ha acceso ‘Bluebird’ si è sprigionata da una banale reazione nel Sole…
che ha viaggiato per otto minuti senza meta percorrendo 150 milioni di kilometri nello spazio interplanetario prima di incontrare per caso lo specchio della Luna…
che ha cambiato direzione e impiegato ancora un secondo e mezzo per affrontare gli ultimi 380 mila tutti di un fiato…
ma quando la luce piomba qui, su questi sepali, non è un traguardo: è MAGIA!