“È indubbio che l’uomo non sia un pesce, ma, allo stesso tempo, non si può accettare l’idea, troppo limitativa, che abbia un’attinenza esclusivamente per la vita sulla terraferma e che, quindi, non possa (…) riadattarsi all’ambiente acquatico” (da “L’uomo è l’acqua”)
Le sacre scritture raccontano che l’acqua precede la Creazione stessa: dall’Abisso acquatico si sono formati i cieli, la terra e tutto ciò che in essi è contenuto.
“L’uomo è formato alla fine della Creazione perché sia parte attiva nella costruzione dell’ordine dal caos”, ed è una creatura in grado di adattarsi alle caratteristiche dell’ambiente in cui vive. Quindi ci si pone la domanda su come, all’origine e nel corso dell’evoluzione, si sia sviluppato il suo rapporto con l’acqua, dalla quale tutto ha inizio.
Una risposta arriva da un recente passato attraverso un salto nel tempo nell’Inghilterra del 1900, anni ’60, che ci trasporta su due poltrone Chesterfield di un raffinatissimo color tabacco, in compagnia dello zoologo Sir Alister Hardy per ascoltare l’“Ipotesi della Scimmia acquatica”.
Proposta per la prima volta negli anni’40 dal tedesco Max Westenhöfer, afferma che i nostri antenati avrebbero subito alcune trasformazioni fisiche favorite da una fase semiacquatica prima di tornare alla vita terrestre, decisiva poi per l’Homo sapiens.
L’adattamento all’acqua ha determinato il diventare glabri, proprio perché in questo elemento è necessario un isolante più efficace della pelliccia. Si uniscono poi altre caratteristiche di piedi, mani e dello scheletro che avvicinano l’uomo ai mammiferi acquatici e che, in una parte della popolazione mondiale, sono presenti ancora oggi, tra cui le dita dei piedi quasi palmate.
Noi siamo bipedi e attratti dall’acqua a differenza della maggior parte dei primati, soprattutto degli scimpanzé che camminano occasionalmente su due zampe solo quando devono evitare di bagnarsi.
Per gli antenati “nuotatori”, invece, sarebbe stato proprio lo stesso contatto e la vita in acqua ad aver contribuito allo sviluppo di cervello, intelligenza e linguaggio.
Caratteristiche peculiari su cui l’antropologia si pone continue domande e alle quali questa Ipotesi è l’unica a saper dare risposte coerenti.
Si aggiunge inoltre un’analisi condotta da un gruppo di paleontologi negli anni ’90: studiando i fossili della microfauna contemporanea e convivente nello stesso ambiente degli antenati dell’uomo, scoprirono la loro appartenenza ad ambienti fluviali e non alla savana. Approfondendo gli studi per cercare ulteriori conferme, nello studio dei pollini fossili ritrovarono la stessa caratteristica.
È chiaro che questa teoria delinei un legame uomo-acqua ancora più stretto di quanto si possa immaginare, portando a ulteriori e profonde riflessioni.
“Sapere da dove veniamo, ci aiuta a capire in quale direzione dobbiamo andare”.
Fonti:
“L’uomo è l’acqua” Armando Sangiorgio, Francesco Guarino, Lucia Martiniello (Editoriale Anicia, 2021)
“L’acqua pura e semplice” Paolo Consigli (Tecniche Nuove, 2005)