Testo di Eleonora Diana
Puntata 1
Questa è una storia di ipotesi acquoree e d’Inquisizione, di simbologie inspiegabili e di un bosco alchemico.
Questa è la storia di un luogo magico che si chiama giardino di Bomarzo.
Rimasto sconosciuto fino agli anni ’60 del secolo scorso, il “bosco sacro” o “parco dei mostri” o “villa delle meraviglie” è un bosco di conifere e latifoglie popolato da entità simboliche, il cui significato è ancora incerto. Le interpretazioni sono numerose: sfortunatamente rimarranno per sempre ipotesi, perché le sue statue di basalto, i suoi ieratici mostri e orchi, sfingi e draghi silenziosi furono mossi e spostati poco dopo che il nuovo proprietario li notò nella boscaglia.
É sconvolgente pensare a quanto questo magico luogo sia passato sotto silenzio per quasi 400 anni.
Il ‘600 e la Rivoluzione scientifica, il loro nuovo modo di concepire l’uomo, il tempo e lo spazio, hanno portato l’oblio sul mondo di Bomarzo e sul suo platonismo ermetico.
La visione alchemica ed ermetica sono infatti le chiavi di lettura del percorso iniziatico, di rivelazione, dello strano giardino.
Esiste tuttavia un’altra motivazione profonda che spiega la simbologia del giardino. Sono gli anni dell’Inquisizione e della Controriforma, di fazioni in contrasto in cui la posta in gioco è la vita.
Dobbiamo fare un passo indietro e capire cosa succedeva.
L’inquisitore e l’evangelista
É l’ottobre del 1517. Martin Lutero affigge le sue 95 tesi sul grosso portone di legno di Wittenberg. Dopodichè la terra trema.
Da quel momento, infatti, la Chiesa cattolica ribollì. Quello che ne seguì fu un terremoto: una serie di misure di rinnovamento spirituale, teologico, liturgico e di riorganizzazione che portò spaccature all’interno della Chiesa stessa, condusse a guerre e città distrutte, processi dell’Inquisizione e censura. Il Concilio di Trento che durò 18 anni, dal 1545 (i lavori per la costruzione del bosco sacro iniziano nel 1547) al 1563, avrebbe dovuto conciliare protestanti e cattolici, sotto tre papi (in realtà sotto i pontificati di Paolo III, Marcello II, Giulio III, Paolo IV e Pio IV), ma la sua conclusione fu la bolla Benedictus Deus che sanciva ormai la definitiva divisione tra protestanti e cattolici.
É il 30 giugno 1564. Da questo momento in poi ci saranno anni bui e oscuri, anni dell’Indice dei libri proibiti, di richiami all’ordine, di controllo capillare di una religiosità rigida. Anni di eretici e streghe.
Già Lutero espresse la necessità di un concilio.
Torniamo nel 1520, tre anni dopo le tesi. L’idea di un concilio sostenuta da Carlo V, l’imperatore del regno dove non tramontava mai il sole, venne contrastata dall’opposizione di Clemente VII per paura delle idee protestanti e per motivi di potere. Cambiò il papa e il pontificato passò a Paolo III.
Siamo nel 1534. 17 anni dopo le tesi.
Il nuovo papa allarga il collegio cardinalizio. Si iniziano a delineare posizioni in contrasto. Da una parte Reginald Pole, cardinale inglese che con il Contarini, un farnese, rappresenta i più egregi esponenti dell’evangelismo, ovvero tutti coloro che volevano un rinnovamento in seno alla Chiesa romana senza alcun distaccamento reale.
Dall’altra il futuro nuovo papa, l’intransigente Paolo IV, il Carafa detto l’Inquisitore.
Lo scontro quindi vedeva la parte mediatrice con al centro Pole e dall’altra l’ala intransigente di Carafa.
E il giardino di Bomarzo cosa c’entra in tutto ciò? C’entra perché è un giardino eretico ed estremamente politicizzato.
Infatti, mentre vedeva la sua famiglia a Londra giustiziata per alto tradimento e mentre moriva il capo spirituale dell’evangelismo, nel 1541 Pole si trasferì a Viterbo (ricordiamoci che i giardini di Bomarzo si trovano proprio vicino a Viterbo), dove raccolse attorno a sé gli Spirituali reduci del circolo napoletano dei Valdesi. In maggioranza ecclesiastici di rango, accoglievano alcune delle idee protestanti, ma senza l’intenzione di staccarsi definitivamente dalle posizioni ufficiali romane, chiedendo una radicale riforma della Chiesa. Del circolo facevano parte, tra gli altri, il cardinale Morone, Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga (quattro anni dopo sposa di Vicino Orsini, il padre di Bomarzo) e Michelangelo Buonarroti (di cui l’architetto di Bomarzo Pirro Ligorio fu diretto erede).
Alla morte di Paolo III, quindi, il nuovo papa doveva essere scelto tra Pole e Carafa. Se avesse vinto Carafa tutta l’ala evangelista e moderata avrebbe dovuto proteggersi dalle conseguenze: roghi, fughe e inquisizioni. La stessa Giulia Gonzaga, diretta erede delle tesi di Valdes e colonna portante del gruppo, riuniva nella casa di Pole le personalità più vicine alle posizioni riformate, dopo che il cardinale, nel 1559, dovette ritrattare a causa dell’intenzione del Sant’Uffizio di processarlo per eresia. Giulia fu salvata dall’Inquisizione grazie all’intervento dei due cugini Ercole e Ferrante I Gonzaga.
Nel 1555 vinse Carafa, dopo uno scontro a tu per tu con Pole, salendo al soglio pontificio con il nome di Paolo IV.
Il giardino e la presa di posizione
In un periodo storico di questa levatura si muove il nostro Vicino Orsini ed il suo giardino, che sembra essere stato diviso in due zone: una zona di rappresentanza e una con il vero sacro Bosco (il momento realmente alchemico/iniziatico).
Luogo di rappresentanza di celebrazione della casta e delle famiglie amiche, ha tuttavia più di un livello di lettura: il giardino di Bomarzo parla anche di una presa di posizione politica. Non solo decidere di rendere vivo e reale il teatro delle idee di un autore quasi eretico come il Delminio (incarcerato per alchimia, ne parleremo dopo), in una decade che si conclude con la nascita e la stesura dell’Indice dei libri proibiti, ma anche inserirvi i simboli di un chiaro rifiuto dell’atteggiamento ecclesiastico.
Lungo il corso del ruscello ci sono due fontane dedicate ai capi dei casati cui Orsini era legato da vincoli di amicizia, parentela e alleanza: il cardinale Alessandro Farnese e il granduca Cosimo I de Medici (profondo e fiero conoscitore di esoterismo e alchimia, arti condannate dall’Indice paolino).
La fontana del Pegaso: dedicata al cardinale per suggerire come il Farnese avrebbe potuto ricondurre alla quiete un mondo scosso da un pericoloso terremoto politico.
Il vicino gruppo della Tartaruga, o del Festina Lente (affrettati lentamente) è l’emblema con cui Cosimo I aveva scelto di descrivere se stesso, ma con una variante fondamentale e significativa rispetto a quello fiorentino: sopra la testuggine, al posto di una vela gonfiata dal vento, volle una fama (la donna) alata, simbolo della marca editoriale dell’Accademia Veneziana o della Fama.
In quel periodo Venezia veniva considerata la roccaforte della libertà editoriale, in quanto la repubblica si contrapponeva con forza all’accentramento censorio della Chiesa romana. Il conflitto raggiunse l’acme nel momento in cui, con l’indice dei libri proibiti, si condannarono magia, alchimia, astrologia e alcune pubblicazioni tedesche. Venezia assistette a un grande rogo di tutte quelle materie, humus per una lettura alchemica del giardino. Tali eventi furono pressoché contemporanei alla costruzione delle fontane.
Orsini era amico del cancelliere dell’Accademia Bernardo Tasso (papà del Torquato) che, contrappostosi all’inserimento dell’indice nel regno di Napoli, dovette fuggire a Venezia.
Quindi la fontana è la celebrazione dei “ribelli” (Cosimo, Venezia e la libertà editoriale).
Le rovine del tempio etrusco, invece, sono il simbolo dell’autocelebrazione della famiglia Orsini che la letteratura cortigiana collegava ad antichi antenati etruschi, primi ad arrivare in Italia successivamente alla guerra di Troia.
La lettura alchemica-ermetica o simbolica
Avviso al lettore: le interpretazioni che seguono non fanno riferimento a dati certi. Sono basate su ipotesi di configurazioni del percorso.
Testo principale di riferimento: “Sacro Bosco: Il giardino ermetico di Bomarzo”. (nuova edizione a cui far riferimento: “Bomarzo.Guida al Sacro Bosco”. Gangemi Editore. 2018).
Perse le visioni prospettiche del giardino che Orsini impostò al suo tempo, ora la lettura dei giardini diventa estremamente complessa. Abbiamo già detto come il giardino di rappresentanza doveva essere diviso dal percorso esperienziale vero e proprio. Infatti rimangono delle tracce della delimitazione fatta da alcuni elementi (le rovine del teatro etrusco che fanno da soglia, e la fontana dei delfini).
Invece, per quanto riguarda il vero e proprio giardino alchemico e iniziatico, la tesi di Rocca è che Orsini abbia reso fisico un testo molto famoso a quel tempo: Idea del Theathro di Giulio Camillo Delminio (pubblicato postumo a Venezia nel 1550).
“La sua fortuna non è paragonabile a quella di molti suoi colleghi come l’Ariosto o il Tasso, Erasmo da Rotterdam, Bembo o l’Aretino. Eppure ciascuno di loro conobbe e celebrò il Delminio. Bembo e l’Aretino gli chiedevano raccomandazioni presso il Re di Francia, l’Ariosto lo inserisce nell’Orlando, il Tasso scrive che fu il primo dopo Dante ad aver ricondotto la retorica al livello della poesia, Erasmo lo definisce il più grande oratore italiano e ricorda i giorni nei quali vi condivideva la stanza e talvolta anche lo stesso materasso”.1
In quegli anni Giulio Camillo andava sviluppando l’idea di un teatro di nuova concezione, in cui, a differenza dal teatro tradizionale, era lo spettatore a trovarsi al centro del palco, con lo spettacolo intorno. Dal palco, infatti, si sviluppavano sette gradini, ognuno dei quali era contrassegnato con una diversa immagine (Primo grado, Convivio, Antro, Gorgoni, Pasifae, Talari, Prometeo). Ogni gradinata era dedicata a uno dei sette pianeti (Luna, Mercurio, Marte, Giove, Sole, Saturno, Venere). Ognuna delle quarantanove intersezioni era contrassegnata da un’altra immagine mitologica che aiutasse la memoria, rappresentante di una parte dello scibile umano. In sintesi, il suo Teatro era un edificio della memoria, capace di far memorizzare l’ordine della verità eterna e i diversi stadi della creazione, un’enciclopedia del sapere e insieme l’immagine dell’universo.
É un tipico testo rinascimentale, influenzato dall’ermetica e dalla cabala.
Secondo Rocca la struttura del giardino quindi è affidata allo sviluppo del testo del Delminio.
Nell’impostazione odierna del parco, seguendo questi presupposti, abbiamo perso tutto ciò. Passata la prima soglia, nel giardino odierno, dovremmo girare a sinistra che con i suoi simboli rappresenterebbe il male, il percorso da abbandonare: la paura di invecchiare, gli istinti sessuali, la strada da evitare, per iniziare il vero percorso spirituale tornando sui nostri passi verso l’inizio dello scontro con se stessi, rappresentato dell’Ercole (che si trova a destra della stessa entrata).
Nella versione di Rocca tuttavia la lettura si fa molto più interessante e complessa.
L’entrata si sarebbe trovata tutta sulla sinistra, oltre la casa pendente. Il giardino si svilupperebbe su una struttura triangolare e il cammino lungo una sorta di esse, passando per diverse sezioni, salendo vero la cima.
Ma perchè il giardino riprodurrebbe il testo del Delminio?
“Asserire che dobbiamo ricordare ciò che siamo per diventare ciò che siamo, è un’affermazione che, pur nella sua apparente contraddittorietà, indica la pregnanza euristica dell’arte della memoria, il suo essere un avanzare quanto un processo di regressione. Ciò che l’esoterismo, e quindi anche il teatro di Camillo, intende enunciare è che la verità giace innanzitutto nel profondo della coscienza dei singoli, che essa è stata rimossa in seguito al trauma della nascita, ma che tuttavia può essere rievocata in virtù di stimoli positivi. L’uso terapeutico di immagini, la pratica di una logica associativa, l’interpretazione dei sogni, la meditazione e i riti iniziatici sono parte di un percorso che è assieme mistico e terapeutico, che è mistico in quanto prossimo alla sorgente di senso delle cose, al mistero del cosmo che è poi l’enigma del sé.”2
Quindi il percorso nel giardino rappresenterebbe un viaggio nel microcosmo simbolico e nel nostro io interiore, che nel suo piccolo è esperienza in miniatura del macrocosmo. In questo modo il percorso è un cammino per “ricordare” le verità del cosmo.
I simboli sono fondamentali, dato che ciò che c’è di divino parla solo attraverso enigmi e simboli.
Come il Delminio sostiene: “Pretende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che non si possono vedere con l’occhio corporeo, possono tuttavia, dopo essere state raccolte con attenta meditazione, essere espresse mediante certi simboli corporei in modo tale che l’osservatore può, all’istante, percepire con l’occhio tutto ciò che altrimenti è celato nelle profondità della mente umana. E appunto a causa di questa percezione corporea lo chiama un teatro”.3
Fonti:
Antonio Rocca. “Sacro Bosco: Il giardino ermetico di Bomarzo” (Italian Edition). Sette Città. Edizione del Kindle. > nuova edizione a cui far riferimento: “Bomarzo.Guida al Sacro Bosco”. Gangemi Editore. 2018
Note:
1 Antonio Rocca. “Sacro Bosco: Il giardino ermetico di Bomarzo” (Italian Edition). Sette Città. Edizione del Kindle
Posizione 92
2 Antonio Rocca. “Sacro Bosco: Il giardino ermetico di Bomarzo” (Italian Edition). Sette Città. Edizione del Kindle
Posizione 245
3 Antonio Rocca. “Sacro Bosco: Il giardino ermetico di Bomarzo” (Italian Edition). Sette Città. Edizione del Kindle
Posizione 160