Viaggio con paesaggio e il labirinto – Puntata 3

Testo di Eleonora Diana

Puntata 3

Ecco che nuovamente il labirinto si evolve, si modifica, cambia. Ecco che il labirinto entra con tutta la sua fascinazione all’interno del giardino, in particolare quello italiano e francese.

Il viaggio nello specchio


Dopo il grande sviluppo del XIII secolo, l’interpretazione del labirinto in una prospettiva simbolica-religiosa decade, ritornando in auge con il Barocco e con il gusto manierista, laico e spensierato.
Nell’arte, dopo il tramonto della visione prospettica quattrocentesca, le novità estetiche del ‘500, e soprattutto del ‘600, fanno del labirinto la chiave d’interpretazione della propria epoca.
La prigione e liberazione ostacolata, i percorsi avviluppati e complessi come ormai è percepita la vita, l’importanza della Fortuna – o di Dio – nella salvazione, sono tutte tematiche di un secolo che nel labirinto non può che vedere lo specchio di sé. Il mondo stesso si trasforma in un groviglio inestricabile, mentre l’umanesimo e la fede non bastano più.
L’interesse ora si concentra sulla reversibilità del percorso: nel momento in cui si conosce la legge di costruzione, dal labirinto si può uscire. Non è più il centro ad essere l’elemento di interesse, come nella visione antica il cui il centro è il portale verso altri mondi e la chiave per una conoscenza epifanica.
In questo secolo è il giardino, ormai spettacolo della maestria umana nel perfezionamento della Natura e alla sua inclinazione geometrizzante, a trasformarsi ben presto nel luogo per eccellenza del labirinto. Dal ‘500 è presente in tutti i giardini di una certa rilevanza.

La prima testimonianza di labirinto italiano è del 1573 nella descrizione del giardino di Villa d’Este a Tivoli progettato da Pirro Ligorio (lo stesso di Bomarzo).
Il grande esempio di questo nuovo tipo di labirinto fu quello francese, in particolare quello di Chantilly, progetto di Le Notre, architetto di Versailles, che fu lo stesso a definire le nuove regole del giardino del ‘600. La parola chiave non è più “interesse botanico” – osservazione e contemplazione dei vegetali – ma più bellezza ed eleganza, in rapporto con la nuova raffinata vita del gentiluomo. Si cerca lo stupore, grazie alle visione prospettica, alle geometrie, alle architetture di verde, d’acqua, alle le terrazze e ai laghi, alle sculture, alle scene teatrali, al “gigantismo dimensionale” unito a una rigorosa geometria e appunto al labirinto. Oggi lo definiremmo “effetto wow”.
Il viale centrale funziona da asse per riprodurre – volendo all’infinito – una “decorazione vegetale calligrafica” , mentre il giardino, soprattutto francese, è spesso il luogo di raffinati divertimenti di una classe nobiliare che della ricercatezza, della forma e del plaisir ne ha fatto un’etica.

In Italia il giardino, e con esso il labirinto, ha spesso un’altra base concettuale: simbolico percorso filosofico, d’impianto allegorico e metaforico. Ritorna ad essere il simbolo dell’umano pellegrinare, in versione laica.
Alcuni esempi? Il giardino di Villa di Altichiero (di cui è rimasta solo una precisa di descrizione di Giustiniana Rosenberg), Villa Pisani a Stra e poi Bomarzo, luogo dalle infinite interpretazioni (leggi “Viaggio con paesaggio e il giardino di Bomarzo”).

Sarà poi il gusto del giardino all’inglese, con una base concettuale nuova, in cui il controllo umano non è più centrale. L’illuminismo del ‘700 e il romanticismo dell’800 fanno del labirinto qualcosa di obsoleto ed estraneo.

Ma questa è un’altra storia…

Eccoli: labirinto e giardino.
Molto più simili di quello che può sembrare. Ne può avere la visione d’insieme solo un unico individuo – l’architetto – che possiede la struttura, mentre il visitatore deve utilizzare la conoscenza – esperienza, ogni volta diversa, per costruirsene un’immagine, non per forza definitiva.
Il giardino diventa così un labirinto non immediatamente riconoscibile, luogo di visioni prospettiche, sorprese. Ognuno conosce solo il proprio giardino – labirinto personale.

“il labirinto di siepi, collocato nella, e composta dalla, Natura – e ancor più in forma di irrgarten: l’errore come (unica?) via del sapere – è il luogo geografico che esemplifica il processo di conoscenza-creazione per l’uomo itinerante del proprio ordine interiore nei confronti del disordine esteriore, e, nel contempo, è anche la proiezione, talora caotica ma pure sempre razionale e sequenziale, della pulsione al progredire – derivante talora dal caso (caos) – che connota l’esperienza dell’essere umano”

A Orticolario 2018 ci si potrà perdere in un labirinto interpretato in chiave contemporanea. Come i labirinti storici, sarà in primo luogo un viaggio personale, ma in cui l’attenzione non sarà tanto l’arrivo, ma…

Fonti:
“Labirinti. Storia, geografia e interpretazione di un simbolo millenario” di M. Cristina Fanelli, Il Cerchio, 1997
“Il linguaggio della dea” di Marija Gimbutas, Le civette di Venexia, 2015

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