Viaggio con paesaggio e le avventure di Linneo

Testo di Anna Rapisarda Visual Designer

Tra botanici, naturalisti e cacciatori di piante, come non raccontare le avventure di Carlo Linneo.
Classificò tutto, “dai bufali ai ranuncoli”.
Il suo lavoro, pubblicato nel 1753 con il titolo “Species Plantarum”, mise ordine allo stato di casualità in cui la botanica si era dibattuta fino a quel momento.

Senza addentrarci nella spiegazione del suo fondamentale contributo alla botanica, sul quale è possibile documentarsi ampiamente, qui raccontiamo della sua prima spedizione a caccia di piante e alcuni aneddoti della sua vita privata.

Studente viaggiatore


Ancora studente alla facoltà di medicina presso l’Università di Uppsala, per la sua vocazione all’insegnamento e la passione per le piante, fu prima nominato assistente alla cattedra di botanica e subito dopo accettò un invito elettrizzante da parte dell’Accademia delle Scienze: partecipare ad una spedizione di caccia alle piante in Lapponia.
Così partì, per un viaggio di centinaia di miglia attraverso terre sconosciute, tenendo quotidianamento un diario e facendo raccolta di piante che metteva a seccare.
La spedizione fu entusiasmante. Carlo tornò con un centinaio di piante sconosciute, scrisse “Flora Lapponica” e si innamorò di una ragazza che lo adorava.

E qui, è un classico: arriva il padre della fanciulla, contrario ad un matrimonio con uno squattrinato collezionista botanico. Linneo infatti non è ancora laureato, quindi non è medico e “deve ancora sistemarsi”. Alla fine, però, è disposto a pagare le spese necessarie e, appena Carlo riceve il denaro, decide di vedere ancora un po’ il mondo e di frequentare un’università all’estero.

E così, ecco un cacciatore di piante in giro per l’Europa del Nord, ma anche giovane zelante in contrasto con l’anziana comunità della città di Amburgo, custode di un’antica e stimata “idra dalle sette teste”, reliquia delle crociate in Terra Santa. La sua precisione scientifica, infatti, spinse Linneo a chiedere il permesso di visionare quella meraviglia per studiarla attentamente: non gli fu difficile dimostrare che non fosse una creatura mitica, ma semplicemente le teste di sette donnole abilmente cucite e trattate.
Questo trionfo dell’osservazione scientifica non fu particolarmente gradito, in quanto portò inevitabilmente all’azzeramento del piccolo ma costante reddito degli anziani ricavato dalle esposizioni pubbliche. Carlo si convinse così della necessità di “cambiare aria” e di allontanarsi da una città che certo non lo amava.

Successo e vocazione


Dopo la laurea in Olanda, continuò a perfezionare il suo sistema di classificazione e il successo in campo botanico si espanse sempre più.
La fama gli piaceva e, vista la considerevole reputazione ottenuta anche in Inghilterra, decise che fosse arrivato il momento di tornare in Svezia, anche perché “qualcuno” lo aspettava.

Con il rientro a Uppsala scoprì di essere famoso come lo era nell’Europa occidentale e di essere totalmente inadatto al matrimonio e alla pratica medica. La sua dolce sposina, infatti, si trasformò in un demone in poco tempo e per quanto riguarda la medicina, Carlo confessò di essere “più felice a maneggiare piante che pazienti”.

Deciso ad abbandonare la Svezia, poco prima della partenza, ricevette la nomina di professore di Anatomia all’Università della città. Seppur non interessato alla materia, accettare la cattedra gli permise, poco dopo, di scambiarla con quella di Botanica, Materia Medica e Storia Naturale, indubbiamente a lui più congeniale.

La scoperta della sua reale vocazione, quella di insegnante, lo rese infinitamente felice.

Fonte:
“I cacciatori di piante” Michael Tyler Whittle (DeriveApprodi, 2015)

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