Testo di Eleonora Diana
Mantova, Capitale italiana della Cultura 2016.
Fonte di ispirazione: il Giardino dei Semplici di Palazzo Ducale e il laboratorio alchemico del Duca Ferdinando Gonzaga.
Le connessioni e i rimandi tra piante, metalli, cosmo e uomini di matrice alchemica.
‘Il Giardino (derivato dal francese jardin che a sua volta viene dal franco gard, luogo chiuso) nel Medioevo, come lo raccontano immagini e scritture, è un’idea piuttosto che una realtà, spesso espressione di una perfezione irraggiungibile e di un mondo perfetto’.
Un luogo simbolico e ideale, topos letterario e allegoria del divino, prima ancora che luogo fisicamente individuato in coordinate spazio temporali.
Il giardino e l’orto (la cui distinzione è labile sino al XII-XIII secolo) come locus amenus (luogo felice) è un motivo ricorrente e trasversale nella letteratura di più secoli e culture: sempre in fiore, primaverile, dove fiori e frutti incredibilmente e innaturalmente convivono. É anche luogo nell’’al di là’ dedicato ai beati.
Il Paradiso deriva dalla parola greca paràdeisos che significa appunto giardino, i Campi Elisi sono luoghi bellissimi e luminosi delle anime beate, mentre Avalon è l’ isola delle mele, in cui i frutti della giovinezza sono sempre disponibili.
Questa ‘nostalgia del Paradiso’ prende forma perfettamente nelle parole di Isidoro di Siviglia:
“Si chiama orto perché vi nasce sempre qualcosa, negli altri terreni vi nasce qualcosa una volta all’anno; l’orto invece non è mai senza frutto”.
Una tale dimensione dell’orto/giardino ripropone evidentemente una condizione adamitica persa con il peccato originale. È un qui e un ora che riporta l’uomo in comunione con il cosmo, incapace di soffrire fame o freddo, dove la natura perde qualsiasi connotazione negativa.
Da questo binomio giardino-orto si sviluppano le due linee principali della strutturazione degli spazi esterni medievali:
hortus conclusus di cui massimo esempio è il giardino dei semplici e hortus deliciarum, il giardino della cultura cortese e trobadorica.
Hortus conclusus
É quello più legato all’idea di orto moderno, delimitato in uno spazio ecclesiastico, impregnato di profonde simbologie cristiane.
Nei monasteri medioevali, in particolare benedettini, esistevano più giardini, dalle diverse funzioni (viridaria, pomaria, herberia) .
In linea di massima :”tre spazi sono destinati alla coltivazione con piante diverse. Un orto (hortus) rettangolare di diciotto aiuole disposte su due lati, ciascuna con un’essenza: da un lato cipolle, porri, sedano, coriandolo, aneto, papavero, rafano, un secondo tipo di papavero (magones), bietola; dall’altro aglio, scalogno, petrosilla, cerfoglio, lattuga, santoreggia, pastinaca, cavolo, nigella.
Un erbario (herbularius), di forma quadrata, con otto aiuole disposte lungo il perimetro e otto all’interno su due fila: lungo il perimetro sono previsti gigli, rose, fagioli, santoreggia, costo, fieno greco, rosmarino, menta; al centro salvia, ruta, gladiolo, puleggio e accanto menta acquatica, cumino, levistico e finocchio. Il terzo spazio, coltivato ad alberi da frutto è il cimitero, (…) tra le tombe dei monaci avrebbero dovuto esserci quindici piante: melo, pero, prugno, pino, sorbo, nespolo, lauro, castagno, fico, cotogno, pesco, nocciolo, mandorlo, gelso e noce”.
I giardini monastici, in particolare benedettini, hanno strutturalmente una funzione molto pratica: sono il luogo della ricerca farmacologica, dove una serie di conoscenze mutuate dalla pratica permettono l’utilizzo di sostanze per curare le malattie.
Il luogo dell’hortus conclusus, che può identificarsi con esso o esserne una parte, dedicato solamente a questa attività, è il giardino dei semplici, giardino dei medicamentum simplex intesi come sostanze vegetali estratti dalle erbe medicinali, simili a droghe, che in certe quantità possono essere letali.
Questi luoghi, in particolare i chiostri benedettini, possiedono anche una dimensione estremamente simbolica, perché sono strutturati per avere al centro una fonte, simbolo di Cristo, o un albero (albero della vita) da cui dipartono quattro camminamenti o bacini di acqua disposti in maniera cruciforme, a memoria dei quattro fiumi descritti nella Genesi.
‘Il chiostro diventava così immagine del paradiso terrestre e figura di quel paradiso eterno del quale la vita monastica doveva essere anticipazione’.
Dunque anche le erbe sono scelte per la loro simbologia insieme alla loro utilità, poiché sono capaci di influire fisicamente e simbolicamente sulla totalità dell’essere umano: l’aglio aiuta la digestione, toglie la nausea, distrugge i calcoli e contemporaneamente per il monaco Rabano Mauro rappresenta, insieme alla cipolla, la corruzione della mente. Il rafano addolcisce la tosse ed esprime la continenza contro le suggestioni del diavolo.
In questa visione in cui l’uomo è un microcosmo inevitabilmente specchio del macrocosmo, nascono gli erbari: elenchi ragionati di piante descritte e illustrate nel loro aspetto e nelle loro proprietà terapeutiche insieme a descrizioni delle piante a carattere mistico, allegorico. Uno dei più famosi è quello di Ildegarda di Bingen.
Questa paradigmatica scelta di piante ha un’utilità ben precisa, che potremmo definire medico-farmacologica, e vive in stretto legame con una simbologia cristiana.
Hortus deliciarum
La seconda tipologia di giardino è quella cortese, cultura maturata tra il XII e il XIII secolo, luogo delle conversazioni d’amore, ma anche delle prove iniziatiche e della magia. L’imitazione del divino, in chiave mistica e protettiva per i monaci, diventa nei giardini laici e cortesi una sfida alla divinità. Il magico ‘verziere’ diventa luogo di una primavera perenne, simile all”orto’, ma non frutto dello sforzo umano del lavoro monacale. È figlio invece di arti magiche, dell’incantesimo.
Questa visione della spazialità del giardino deriva anche dalla rinascita per l’interesse per il mondo naturale, sviluppatasi grazie al francescanesimo e alla scuola scientifica-filosofica di Oxford, dei quali il primo fondamento è la scuola di Chartres, che porta alla riscoperta di un giardino sensuale. È infatti la scuola di Chartres a dare le basi del Roman de la Rose, opera di riferimento della “filosofia del giardino” di una cultura “erotico-filosofica”.
L’unione della tradizione monastica del giardino con il giardino cortese e le influenze orientali che lo plasmano trasformano il giardino del Trecento in un percorso iniziatico, individuale e sempre più laico. Il simbolo della presenza del peccato è onnipresente, l’adulterio è sempre possibile.
Il giardino acquisisce un carattere diverso, diventa ‘narrazione dinamica di un itinerario che è anche viaggio di conoscenza e di progressiva appropriazione della realtà, peregrinazione dell’anima, discesa agli inferi e ascesa al cielo’.
In questa diversa percezione si instaura la scienza alchemica: curiosità verso il mondo naturale e contemporaneamente terreno fertile per la creazione di un percorso iniziatico.
Alchimia
Etimologicamente il termine alchimia deriva dal “termine arabo al e kimiyà (la pietra filosofale) con quello egizio Al Kemi (la terra) e perfino con l’antico cinese kim-iya (succo per fare l’oro). L’interazione tra queste espressioni dà così origine alla parola khymeia o khumeia (χυμεια), che significa in greco <> e che poi diventerà <> nella cultura alessandrina”.
L’alchimia nasce dalla curiosità di proto-scienziati di scoprire le leggi naturali alla base della vita.
Infatti, alle origini, con la nascita delle prime società sedentarie, si inizia a vedere la comparsa di figure capaci di fondere il metallo con il fuoco, o di costruire utensili, o di estrarre da piante selvatiche o coltivate i decotti o i succhi medicinali per la guarigione dei malati. Figure che nel tempo divengono i depositari di una conoscenza empirica di metallurgia, mineralogia, botanica e anatomia, che trasmettono informazioni di vitale importanza per lo sviluppo della società. Questa conoscenza si unisce ad una dimensione immancabilmente rituale e magica, capace di spiegare i temuti fenomeni naturali come temporali, terremoti, fulmini…, capace di connettere direttamente l’uomo agli dei che di questa dimensione oltreumana ne erano i padroni.
Secondo gli alchimisti occidentali la culla dell’alchimia fu l’antico Egitto. Il fondatore dell’arte sembra sia stato un personaggio avvolto dal mito, Ermete Trismegisto (riscoperto nel Rinascimento da autori come Ficino, Pico della Mirandola e Bruno), esperto in astronomia, mago e medico per eccellenza. Dopo di lui Bolos di Mendes che inventò il mito della trasformazione dei metalli in oro, perché interessato alla capacità della metamorfosi della materia. È con l’epoca alessandrina che l’alchimia si sviluppa sempre più portando a quella concezione misticheggiante che sarà tipica dell’alchimia spirituale Rinascimentale.
“A partire dall’ XI al XII secolo, e poi con maggiore forza nel corso del Duecento, il risorgere dei traffici mediterranei, con la Reconquista della penisola iberica e le crociate, l’organizzazione di scuole cattedrali e soprattutto di università, contribuì in modo incisivo alla reintroduzione in Occidente di branche della cultura scientifico-filosofica di matrice classica o tardoantica”.
La filosofia si accompagnava all’indagine delle materie magiche intese come approfondimento di ricerca delle cause nascoste all’origine dei fenomeni naturali. Uno degli ambienti in cui questo connubio fa più presa è la scuola di Chartres, della quale l’eredità in materia di magia naturale trova in seguito numerosi cultori: Giovanni di Salisbury, Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno, Ruggero Bacone. Alla base di questa ricerca la convinzione che esistano corrispondenze tra uomo e natura.
Altro elemento fondamentale dell’alchimia è l’influenza astrale sugli esseri umani. Anche a Bologna e a Padova, tradizionali sedi dello studio del diritto, si sviluppano interessi per l’astrologia. Fra Trecento e Cinquecento si trasforma infatti in una pratica diffusissima, sino a diventare necessaria per qualsiasi scelta politica. I Gonzaga, come i d’Este, i Medici, i Montefeltro, i Visconti, gli Sforza, ne fecero largo uso.
Quello che qui ci interessa, senza ripercorrere uno sviluppo storico di un’arte interpretata diversamente a seconda dei periodi storici, è la connotazione dell’alchimia come studio sperimentale delle capacità di interazione tra gli elementi considerabile quindi come proto-chimica e in particolare proto-farmacopea. L’origine umana della curiosità alchemica si mischia nel tempo con concezioni misticheggianti, ma che non le permettono di perdere il suo carattere originario.
Con l’evolversi del concetto di giardino e la ricerca di un’iniziazione individuale, l’alchimia diventa un linguaggio non solo ben accetto, ma anche e soprattutto un modo nuovo di guardare all’uomo, parte di un tutto e capace di disvelare i segreti della trasformazione del mondo.
Buona visita…
Fonti:
Medioevo
“Il giardino delle delizie . L’orto dei monaci”
“Il giardino delle delizie . Un Paradiso a misura d’uomo”
“Un passato da riscoprire”
“Alchimia la segreta fabbrica dei sogni”
Medioevo Dossier
“Magia l’eterno fascino dell’occulto”
“Le piante medicinali nella cura delle malattie umane. Affezioni e sofferenze piante-rimedi-diete”
Salvatore Califano , “Storia dell’alchimia: Misticismo ed esoterismo all’origine della chimica”, Firenze University Press
Franco Cardini e Massimo Miglio, “Nostalgia del paradiso. Il giardino medioevale” Laterza, 2002