Testo di Eleonora Diana
“Le oasi sono il primo giardino. Costituiscono il segno e la memoria di queste epopee, del difficile processo di adattamento e anche delle catastrofi, della caduta e l’agognata rinascita. Proprio per questo il giardino è così presente nell’immaginario e nella poetica. Dalla grande letteratura persiana, alla Storie delle Mille e una Notte, alle miniature Moghul, tutta la cultura arabo-mussulmana, sia lirica sia scientifica o mistica, ne è permeata”1
L’orologio torna indietro nel tempo, così tanto da perdere senso ed entrare nel mito.
Il giardino è già là, sonnecchia e germoglia, gorgoglia l’acqua mentre compare, come per incanto, in mezzo al deserto.
Un miraggio, una visione, protetta e conclusa semplicemente tra quattro mura.
Già in un passato così antico, il giardino possiede una portata simbolica e seduttiva imparagonabile.
È un luogo unico, che vive tra magia, seduzione e meraviglia.
Un’estetica di un mondo lontano dal nostro, intriso di favola ed esotismo, “dove tutto è iperbolico e prezioso“2 .
Nasce dalla poesie e dalla mitologia, non l’opposto, riproduce un archetipo in terra.
Il giardino persiano, di cui rimane così poco, ma così tanto ha lasciato, porrà le basi per lo sviluppo di tutti i giardini islamici, cantato da poeti e rappresentato nei microcosmi dei tappeti-giardino dell’arte araba, erede dell’oasi e portatore di un sogno reso realtà.
Chi sono i persiani?
Nel 550 a.C. con la vittoria sui Medi, Ciro il Grande, della dinastia achemenide, raduna una pletora di clan della zona e, conquistando i regni babilonese e Lidio, dà vita a un regno unificato. Nasce l’impero persiano:
“(…) i deserti di Libia, dell’Egitto e l’altopiano anatolico, a Est fino all’Indo al di là del quale si trova il deserto del Thar nel Rajastan indiano. A nord arrivava fino ai Monti del Caucaso, il Mar Caspio e la Scizia che la chiave per le grandi steppe uraliche, della Mongolia fino alla Cina con i deserti del Tklamacan e del Gobi La Scizia, patria dei grandi nomadi eccellenti conduttori di carovane, comprende i deserti del Karakum e del Kizilqum tra il fiume Amu Darya (Oxus ) e Syr Daya (Issarte) che hanno giocato nella storia un ruolo paragonabile a quello di altri grandi fiumi sede delle più antiche civiltà come il Tigre e l’Eufrate, il Nilo, l’Indo e il fiume Giallo. Sulle rive si estendono la Corasmia celebre per la sua giada e i suoi turchesi; la Battriana luogo di origine del cammello; la Sogdiana la cui capitale è Afrasiab, in seguito chiamata Samarcanda. Nella parte più orientale si apre valle di Fergana, dove i cinesi hanno collocato la mitica sede dei cavalli celesti, rinomata per le sue selle e armature.
A sud l’impero si estende lungo il Golfo Persico, il Golfo dell’Oman e il Mare Arabico, comprendendo nella parte occidentale la Mesopotamia dove si sono sviluppate le prime città (…)”3
Con Dario I, figlio di Istaspe (522-485 a.C.), il regno raggiunge ricchezza, una prosperità e un’ampiezza inaudita. C’è libertà di religione e una splendida rete stradale.
Tuttavia, nella sua imponente espansione geografica, il re si trova faccia a faccia con i Greci: Dario viene battuto a Maratona e suo figlio Serse I, lo stesso che si confronta con i 300 di Leonida, viene sconfitto nella battaglia di Salamina (480 a.C.).
L’impero persiano perdura fino alla sua conquista da parte di Alessandro Magno.
Fermati. Chiudi gli occhi e immagina la grandezza di un palazzo di un mondo lontano, lontanissimo, racchiuso dalle nebbie del mito.
Fermati. Immagina l’apadāna del Palazzo di Dario il Grande, l’immensa sala ipostila, con il tetto piano e le gigantesche colonne dai capitelli zoomorfi che sostengono il cielo.
Il palazzo sfida il cielo e gli dei. Il potere è espresso ovunque, nelle grandezze, nelle misure sovrumane.
I giardini
Nonostante la mancanza di documenti storici, è possibile definire la struttura più o meno tipica del giardino persiano e il substrato culturale su cui la sua simbologia germoglia.
Una definizione di estremo valore, perché pare che l’intera tradizione del giardino islamico si sviluppi proprio su tale modello e alle influenze di altre culture, stratificate nei secoli e negli incontri.
La cultura persiana del giardino fiorisce e si determina dunque sotto la dinastia degli Achemenidi.
Di diretta discendenza oasiana e con una forte eredità nomade, tale visione della natura e del giardino è impregnata di un simbolismo che si fonda sul confronto con il deserto feroce, luogo di spiriti e demoni, di vuoto. È così che il giardino è, e simboleggia, lo spazio verde e fertile strappato alla sabbia e alla sete.
Il cuore geografico di una civiltà dalle dure condizioni climatiche: l’Iran e i deserti, che siano quelli freddi dell’Asia Centrale o quelli caldi dell’Arabia e del Sahara. Tra zone aride e semi aride, piogge scarsissime, estati torride e inverni freddi. Investita da venti rabbiosi, la cultura dell’oasi viene forgiata dalla potenza e dalla prepotenza di una natura aggressiva, ponendo le basi per qualcosa che non è né occidentale né orientale.
E così, in un tale paesaggio, la poesia e la lirica decantano continuamente la bellezza dei giardini. Sarebbe naturale pensare che al giardino sia seguita la poesia. Invece, inaspettatamente, è proprio l’opposto: il giardino persiano nasce cercando di rendere reali i luoghi favolosi e mitici decantati dai poeti. Il simbolismo e le idee che soggiacciono a questa visione provengono da una poesia antichissima che canta il lungo processo di adattazione e lavoro per rendere fertili le terre.
In un certo senso, è il sogno la loro vera origine.
In questa prospettiva è molto chiara l’importanza della delimitazione effettiva, del recinto, di un spazio così fragile e unico: sembra naturale che Senofonte ci racconti come il termine Pairidaeza significhi, in prima istanza, “recinto”, ma identifichi contemporaneamente tutti i giardini dei sovrani Achemenidi.
Quindi il primo elemento fondamentale nel modello del giardino persiano è il perimetro murato che delimita e protegge il fertile microcosmo.
Ci sono tuttavia altre caratteristiche importanti tanto quanto la recinzione.
L’ombra e l’acqua.
La prima è declinata attraverso l’amore per i filari di platani e di cipressi e d’”ispirazione silvestre”, come lo definisce Grimal: porte e ingressi monumentali con portici di accoglienza, contemplazione e rappresentanza, insieme a criptoportici e grotte. Qui spesso i Magi, la casta sacerdotale zoroastriana, religione ufficiale degli Achemenidi, tenevano lezioni come il loro profeta insegnava in un giardino.
La seconda è onnipresente, sia per estetica sia per necessità.
Onnipresente per la sua bellezza visiva, sia ferma e limpida, sia in movimento in cascate e fontane: tubature nelle mura, un intricato sistema di canali sotterranei, bacini d’acqua e complessi meccanismi la facevano salire in superficie come per magia. Un esempio meraviglioso di questo incredibile mondo sotterraneo ed acquoreo, che dal nulla permette l’apparire di laghi nel deserto, è la città di Sushtar.
Onnipresente per il suo canto gorgogliante, piacere per le orecchie e per la sua fresca squisitezza. I dislivelli più o meno accentuati permettono che fluisca con continuità, cosicché la “messa in scena dell’acqua” sia fisicamente visibile nella infinità di vasche, ripartitori, discese e canali superficiali che attraversano i padiglioni.
Onnipresente perché elemento chiave per la sopravvivenza del sogno del giardino stesso. Ecco allora che lo spazio sotterraneo vede il fiorire di bacini ipogei, spesso anche collegati alle torri di captazione del vento e climatizzazione.
Punti di osservazione dall’alto e strutture che dialogano continuamente con l’esterno.
Per mantenere questo fluido confine tra interno ed esterno, diventano essenziali le strutture aperte verso tutte le quattro direzioni, come i padiglioni, che in realtà non sono altro che tende per usi più sedentari, come testimoniano le raffigurazioni dei giardini. Lo stesso ‘imarat che consiste in una grande loggia a tutta altezza ed è il luogo più importante per le udienze del re, si apre su tre lati.
Le decorazioni interne guardano al giardino e all’esterno, richiamandolo con motivi vegetali e animali e con precisi riferimenti al significato di colori e numeri.
Gli affacci, insieme a logge, verande, balconate praticamente ovunque, creano punti di visuale elevata.
Il giardino persiano è spazio scenico, ma non prospettico.
I sostegni architettonici – le famose muqqarnas – sembra che non si appoggino a nulla, ma discendano dal cielo, senza peso, mentre l’abilità di creare spazi semiaperti in relazione a prospettive di canali e vasche, spesso ha come fondale l’architettura e il palazzo del re.
Infine la geometria di ogni cosa, strutturata in moduli ripetitivi in piano o terrazzamenti e filari di alberi, insieme al leitmotiv per eccellenza, la quadripartizione.
Il čahārbāgh: il termine significa “quattro lotti”, al cui centro si erge il re.
L’acqua divide le sezioni e agli incroci si trova un takht o kursī, ovvero una spianata o un terrazzo. Qui, spesso, si innalza uno dei padiglioni o si apre una ḥawż, cioè vasca, nell’immensa celebrazione dell’acqua.
La struttura quadripartita ha un significato religioso specifico: celebra infatti simbolicamente le basi della religione zoroastriana.
Quattro è il numero della struttura modulare e sono gli elementi chiave: la terra, visibile nel suolo e nel nutrimento, l’acqua espressa nella vegetazione, l’aria che si esplica nel vento e nel cielo e il fuoco che è in fondo luce e piante.
“corrispondeva ad un’idea cosmogonica dell’universo suddiviso in quattro parti da quattro grandi fiumi, ovvero in una rielaborazione mentale dell’imago mundi mazdeo.”4
Il giardino zoroastriano è diviso infatti in quattro diverse case: il Dominio dei buoni pensieri, delle buone parole, delle buone azioni e dell’infinita luce. Una struttura, quindi, che richiama questa immagine archetipica.
Inoltre il termine paradiso è attestato già nel libro sacro della religione zoroastriana (I millennio – VI secolo a.C.) con il significato di “piantare fiori e alberi attorno all’edificio”, mentre l’arte di fare giardini è un dono presente nel mito della creazione. Il racconto, così simile alla cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, narra dell’allontamento dal giardino della divinità solare Ahrua Mazda, e voluto dal dio stesso, di una coppia di uomini e della successiva decisione di insegnare loro a fare giardini.
Esisteva, infine, una scelta specifica e simbolica delle piante da inserire: una “botanica sacra, che portava alla liturgia la coltivazione dei fiori e l’arte floreale.”5
In questa prospettiva, il giardino non è solo il luogo del piacere per eccellenza, ovvero “un giardino di piacere” per l’importanza della sensazione e della seduttività della natura sull’uomo, ma ha così anche un valore religioso.
E non è finita qui. Si aggiunge la volontà di manifestazione del potere: il giardino è anche lo spazio magico del principe, il modo per dichiarare il suo potere. Dando forma a un mondo vegetale pieno di linfa, il sovrano porta e dona la vita. Così la tenda reale achemenide, i cui broccati trapuntati di stelle dovevano riprodurre il soffitto astronomico, vedono il sovrano seduto sul trono come un cosmocrator.
“in tutte le terre in cui va a soggiornare, si impegna perché diventino giardini, i cosiddetti paradisi, pieni di tutte le cose belle e buone che la terra è solita produrre”6 racconta Senofonte parlando di Ciro il Giovane.
Pasargardae e Persepoli
I più antichi giardini persiani sono quelli di Pasargardae e Persepoli.
La prima era il regno di Ciro il Grande, sepolto qui in una grande tomba di pietra posta su un alto piedistallo, tuttora ben conservata.
Ma l’esempio per eccellenza è la bellissima, e un tempo segreta, Persepoli. Rimase infatti sconosciuta al mondo occidentale fino all’arrivo di Alessandro Magno nel 330 a.C. che la bruciò spaventato dal fatto che la sua bellezza potesse sopravvivere con maggiore forza a quella del mondo greco.
Collocata ai piedi di una parete scoscesa di una montagna, in mezzo al nulla, nata solo per “impressionare sudditi e nemici”7, è creata da una terrazza artificiale di pietra di 440 x 300 metri – un’enormità – scavata nella roccia e livellata. Le misure delle strutture, delle sfingi e dei capitelli sono impressionanti. La terrazza si eleva su quattro livelli dove si incontrano l’Apadana, il Palazzo delle cento colonne, il Tachana.
La scala porta alla gigantesca e meravigliosa Porta di Tutte le Nazioni.
Si appoggia, per una parete, alla roccia dove sono state scavate le tombe dei re.
Un mondo a parte, sotterraneo, è costituito da tunnel di acque di scarico e da un grande serbatoio. I giardini e le vie d’acqua ritmavano il procedere dei delegati delle altre potenze, dividendo e colorando le gigantesche terrazze, tra padiglioni, piante di loto, palme, pini e cipressi. Qualcosa di unico.
“Persepoli non è una capitale burocratica, è una città immagine fatta per mostrare; non respinge con fortificazioni e mura, si presenta su un podio; non si chiude, accoglie per celebrare. È un giardino paradiso, armonia degli elementi, ascesa verso il cielo.“8
Nel mondo persiano sono diversi i termini che indicano il giardino in base all’aspetto che si vuole sottolineare oppure ad alcune differenze.
Tra i tanti…
Pairidaeza significa, appunto, “recinto”, ma come ci narra Senofonte è lo stesso termine che veniva usato per definire i giardini dei re Achemenidi.
Ciro il Grande, a Pasargadae, costruisce un pairidaeza.
Bāgh ovvero “appezzamento di terreno” o “lotto”. Oggi significa “frutteto”. Nei trattati di agricoltura e giardinaggio e nelle poesie di fondazione dei palazzi, indica il giardino insieme al palazzo reale. È recintato, con viali alberati geometrici e canali d’acqua, diviso in varie zone piantate con alberi da frutto.
Būstān ovvero “luogo di odori”. È un termine quasi unico nel linguaggio poetico degli scrittori arabi per indicare un giardino all’interno di una corte e la sua acqua. Oggi è il giardino dei profumi in Iran.
Termini più specifici sono gulistān/golist ovvero “roseto”, nakhlistān è “palmeto”, nārinjistāan è “aranceto”, raz o angūristān è “vigneto”.
Dalla bellezza seduttiva della tradizione persiana, nel mondo ellenistico si formarono giardini di sperimentazioni e adattamento di piante e animali, arrivando fino ad Alessandria d’Egitto che erediterà dal čahārbāgh la visione del giardino come luogo di contemplazione, ispirazione e conoscenza.
Il giardino del piacere, con la sua sensualità mistica ed estetica, sarà alla base degli stessi giardini musulmani che lo espanderanno e radicheranno ovunque: nel mondo occidentale più lontano, nella Grecia post-alessandrina, nell’insegnamento peripatetico di Teofrasto, il creatore della botanica, nel mondo romano e bizantino.
Tutta la portata simbolica e seduttiva di un giardino di carne, ombra e acqua, ha impiegato lungo tempo per radicarsi negli occhi degli osservatori, ma una volta insediato non se ne sarebbe mai più andato.
“È molto probabile che i viaggiatori greci, quando ammiravano così ingenuamente i giardini della Persia, non ne comprendessero il significato profondo. (…)
Non si può non pensare alla rappresentazione dell’Universo, così frequente in Asia, alla divisione del Cosmo in quattro zone per mezzo di quattro fiumi divergenti. È molto verosimile che il parco di Ciro esprimesse a suo modo un’idea analoga: al centro il Re, Signore e Mago, rappresentava sul suo dominio la potenza fecondatrice e creatrice che presiede alla Natura”9
Note:
1 “Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini” Pietro Laureano pag. 143
2 “Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli, pag.7
3 “Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini” Pietro Laureano pag. 149
4 “Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati, pag. 19
5 Idem
6 “Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati, pag. 18
7 “Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini” Pietro Laureano, pag. 160
8 “L’arte dei giardini. Una breve storia” Pierre Grimal, pag. 15
Fonti:
Bibliografia
“L’arte dei giardini. Una breve storia” Pierre Grimal (Feltrinelli, 1974)
“Il giardino islamico. Architettura, Natura, Paesaggio” a cura di Attilio Petruccioli (Electa, 1994)
“Il giardino islamico” Luigi Zangheri, Brunella Lorenzi, Nausikaa M. Rahmati (Leo S. Olschki, 2006)
“Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini” Pietro Laureano da “Tra le spade e le alcove Tradizioni e letterature a confronto: dalla origini a Sa‘di e Petrarca” a cura di Carlo Saccone e Nahid Norozi (Centro Essad Bey, 2019)
Sitografia
alinari.it
it.wikipedia.org
artearti.net/magazine
laricerca.loescher.it
treccani.it/magazine
vanillamagazine.it/gli-yakhchal-le-ghiacciaie-nel-deserto-degli-antichi-persiani/
treccani.it/enciclopedia
vanillamagazine.it/la-tomba-di-ciro-il-grande-un-semplice-sepolcro-per-un-grande-re/
vanillamagazine.it/gli-immortali-l-elite-dell-esercito-persiano-che-non-scendeva-mai-sotto-i-10000-uomini/
vanillamagazine.it/le-torri-del-vento-i-climatizzatori-naturali-dell-antica-persia/
vanillamagazine.it/le-magnifiche-rovine-di-persepoli-mostrano-l-immenso-potere-dell-antica-persia/
treccani.it/enciclopedia/pasargade/