Natura sensitiva e le dolci orecchie

Testo di Anna Rapisarda Visual Designer

Si sa, le nostre orecchie sono sempre in ascolto, anche nei momenti apparentemente più silenziosi, e lo sono anche quelle di predatori e prede, in continua sintonia sulle reciproche presenze.

Da qui e dalla riflessione di una ricercatrice dell’Università di Tel Aviv (Israele) sull’importanza del suono per la vita e per la sopravvivenza degli esseri viventi, si è sviluppato un importante studio per rispondere a una domanda: “e se le piante fossero in grado di percepire i suoni e non fosse solo una prerogativa del regno animale?”.

La ricerca sulle primule

Osservando alcune primule (Oenothera drummondii), Lilach Hadany e il suo gruppo di ricerca hanno scoperto che in pochi minuti dal rilevamento delle vibrazioni alari degli impollinatori, le piante aumentano temporaneamente la concentrazione di zucchero nel nettare dei loro fiori che fungono quindi da orecchie, raccogliendo le frequenze specifiche delle ali delle api.

Come teorica evoluzionista, la Hadany afferma che la sua riflessione è stata motivata da una consapevolezza: i suoni sono una risorsa naturale onnipresente che le piante sprecherebbero se non ne approfittassero. Il suono da loro percepito potrebbe essere di aiuto per sopravvivere e trasmettere l’eredità genetica.

Poiché l’impollinazione è la chiave per la riproduzione delle piante, il gruppo ha iniziato le sue indagini sui fiori di enotera, pianta spontanea delle spiagge e dei parchi intorno a Tel Aviv che, grazie al suo lungo periodo di fioritura,  produce diverse quantità misurabili di nettare.

Sono stati cinque i trattamenti sonori: silenzio, registrazioni di un’ape da quattro pollici di distanza e suoni generati dal computer a basse, medie e alte frequenze.
Le piante sottoposte al trattamento silenzioso – poste sotto vasi di vetro che bloccano le vibrazioni – non hanno avuto un aumento significativo della concentrazione di zucchero nel nettare.
Lo stesso vale per quelle esposte a suoni ad alta frequenza (da 158 a 160 kilohertz) e a frequenze intermedie (da 34 a 35 kilohertz).
Ma per le primule esposte a riproduzioni di suoni d’api (da 0,2 a 0,5 kilohertz) e a suoni a bassa frequenza (da 0,05 a 1 kilohertz) l’analisi finale ha rivelato un evento inconfondibile: entro tre minuti dall’esposizione a queste registrazioni, la concentrazione di zucchero nelle piante è aumentata dal 12-17% al 20%.

Secondo la loro teoria, un nettare più dolce per gli impollinatori potrebbe attirare più insetti, aumentando potenzialmente le possibilità di successo dell’impollinazione incrociata.
“Siamo rimasti abbastanza sorpresi quando abbiamo scoperto che funzionava”, dice la Hadany. “Ma dopo averlo ripetuto in altre situazioni, in stagioni diverse e con piante coltivate sia all’interno sia all’esterno, ci sentiamo molto sicuri del risultato”.

Fiori come orecchie

In questo studio sul funzionamento del suono attraverso la trasmissione e l’interpretazione delle vibrazioni, il ruolo dei fiori è diventato ancora più intrigante: le loro forme più o meno concave, li rendono perfetti per ricevere e amplificare le onde sonore, proprio come un’antenna parabolica.

Nei test sugli effetti vibrazionali sono state messe a confronto le vibrazioni dei fiori con quelle di ciascuno dei trattamenti sonori: per il gruppo di ricercatori è stato emozionante vederle combaciare con le lunghezze d’onda della registrazione delle api.
“Dobbiamo considerare il fatto che i fiori si sono evoluti con gli impollinatori per molto tempo”, dice la Hadany. “Sono esseri viventi e anche loro hanno bisogno di sopravvivere nel mondo. È importante che siano in grado di percepire il loro ambiente, soprattutto se non possono spostarsi”.

Uno studio che apre un campo di ricerca scientifica completamente nuovo, che la Hadany chiama fitoacustica.

Si apre così un’infinità di quesiti: alcune “orecchie” sono migliori rispetto ad altre per certe frequenze? E perché l’enotera rende il nettare più dolce quando è noto che le api sono in grado di rilevare variazioni della concentrazione zuccherina dall’1 al 3%? Inoltre, questa capacità potrebbe conferire altri vantaggi oltre alla produzione di nettare e all’impollinazione? Forse le piante si avvisano fra loro al suono degli erbivori che stanno mangiando i loro vicini? O forse possono generare suoni che attraggono gli animali coinvolti nella dispersione dei semi di quella pianta? Quali sono i processi molecolari o meccanici che guidano la risposta alle vibrazioni e al nettare?

Con la convinzione che questa ricerca possa ancora riservare molte sorprese…

Fonti:
nationalgeographic.com

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