In qualche angolo remoto della Terra esistono e resistono ancora tribù di cacciatori-raccoglitori con stili di vita fondati sulla sacralità dell’ambiente, fonte di vita.
La loro stretta e diretta relazione con la natura rappresenta per molti aspetti un modello di sostenibilità. Non possono permettersi di rovinare, deturpare, approfittare dei doni a loro offerti dall’ambiente in cui vivono, perché da esso dipende la loro esistenza.
Sono custodi di antichi saperi, tramandati nel corso dei millenni, sui principi attivi medicinali delle piante, delle sostanze e proprietà in esse contenute, frutto di una convivenza con la preziosa biodiversità del luogo, del loro “giardino” senza confini.
Una vera e propria collaborazione con la natura, che si basa sul continuo reciproco scambio.
Riflessi e riflessioni
Dall’età della pietra nuova l’uomo si espande sempre di più. Diventa “cosmopolita invasivo”, modificando l’ambiente con il suo impatto, portando all’estinzione di un numero sempre maggiore di specie viventi e quindi riducendo la biodiversità. Nonostante ciò i popoli nativi rimangono depositari di una modalità di relazione con l’ambiente basata sul rispetto, sull’equilibrio ed è per questo che ora molti studiosi concordano sulla necessità di garantirne la sopravvivenza per proteggere la diversità biologica del nostro più grande giardino, la Terra.
Non è nostalgia verso stili di vita appartenuti ai nostri antichi antenati (di cui le tribù sono viva traccia), ma una riflessione sul rapporto uomo-natura, sul nostro concetto di giardino, per una maggior consapevolezza di ciò che vive dentro e oltre i suoi confini, per ampliarne, allargarne le maglie, aprendo lo sguardo al Paesaggio e tessendo intrecci.
Riflessioni sul giardino dopo “Homo sapiens”, mostra sulle nuove storie dell’evoluzione umana