Testo di Eleonora Diana
“(…) il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda”
(Pablo Neruda)
Nel 1965 Rita Pavone canta “Viva la Pappa col pomodoro”, Pablo Neruda gli dedica un’ode, Andy Warhol lo consacra rendendolo un’icona con la Campbell’s Soup Cans.
Siamo totalmente affetti da pomodoromania!
Due secoli di gavetta
La storia del pomodoro non è sempre stata così idilliaca.
Spontaneo sulle Ande, in Perù e in Cile, era di piccola misura, un ciliegino, e cresceva a grappoli. Non era particolarmente affascinante, nè sembrava particolarmente succulento.
Come se non fosse bastato, era altamente tossico. Negli esseri umani provocava di tutto: dalla nausea alle allucinazioni, fino alla paralisi.
Fu grazie agli aztechi che il pomodoro selvatico si trasformò in Tomatl.
Come avvenne la trasformazione? Nel corso dei secoli e grazie alla loro lungimiranza. Lo scoprirono come infestante nei campi di mais e lo cambiarono nell’antenato del nostro pomodoro, selezionando le piante meno tossiche.
Utilizzato come una sorta di “sugo” ante litteram, ci condivano una serie di pietanze tipiche e la carne, spesso umana…
“Racconta infatti Bernal Diaz, soldato-cronista della Conquista, che gli aztechi «mangiavano braccia e gambe delle vittime con la salsa di chimole», fatta di peperoni, pomodori, cipolle selvatiche e sale”.
Grazie a Cortés giunse in Europa.
Nonostante oggi sia il beniamino della cucina tradizionale italiana, al suo arrivo non fu accolto da grandi ovazioni o da Napoletani con la pasta della pizza pronta a essere intinta nel rosso… anzi!
Pagò il destino di molte piante sconosciute a quel tempo, in un’epoca affetta da “neofobia”1, ovvero la grande diffidenza, unita a curiosità, verso le novità, soprattutto edibili, provenienti dai nuovi territori che comparivano sulle mappe.
Il nostro bel pomodoro era infatti colpevole di “reato di aspetto: assomigliava alla sua parente, la mandragora. Una parente con una pessima reputazione. Magia nera. Odore di morte e zolfo. Bacche giallo aranciato che si staccano quando maturano e… oplà!, quando la pianta è completamenta matura, scompare”.
E infatti alle Solanaceae appartiene, come il tabacco e la patata, oggetto della stessa diffidenza. Una famiglia assai pericolosa, che comprende piante fra le più velenose, come la belladonna, la Datura, il giusquiamo, …
All’inizio dunque si insinuò nella nostra cultura cheto cheto, usato principalmente come pianta ornamentale e anti-zanzare.
E pomodoro sia!
Il pomodoro in Italia arrivò viaggiando da Siviglia.
Accadde poi che il medico umanista Pietro Andrea Mattioli ne parlò come di un frutto che diventava giallo oro – da cui pomo d’oro e poi pomodoro – consumabile fritto, salato e pepato.
I più impavidi, all’inizio del XVII secolo, lo mangiarano persino in insalata!
Ci siamo: il pomodoro entra piano piano nella cucina, prima spagnola e poi italiana.
Si racconta che nella cucina napoletana comparve dal 1692, con la ricetta più antica, per l’appunto “la salsa di pomodoro alla spagnola”.
Nobilitato nella cucina italiana, fu il turno della salsa, prima da usare con la carne, poi con la pasta.
Linneo lo incluse nella sua febbre classificatoria nel 1750: Solanum lycopersicum o pesca del lupo, definitivamente edible.
La pizza arrivò solo dopo, nel XIX secolo.
In Francia giunse nelle ceste di due cuochi marsigliesi, che lo trasportarono da sud e lo resero famoso nei loro ristoranti Les trois frères provençaux e Le bœuf à la mode.
In America approdò, o meglio tornò, nel XIX secolo, contro ogni aspettativa, non dal Messico.
Viaggiò chiuso in una valigia, precisamente nella valigia del presidente Thomas Jefferson di ritorno da un soggiorno in Francia. Jefferson lo coltivò nel suo orto finchè lo propose nel 1806 in tavola, o per meglio dire, ad una cena presidenziale che fa tutta un’altra impressione.
Si diffuse poi nel resto dell’America nel XIX secolo risalendo dalla Luisiana, questa volta nelle tasche dei coloni, che da Sud si spostavano verso nord, portandolo sotto forma di semi.
E in questo viaggio venne inventato il ketchup: è una ricetta della Luisiana di quell’epoca, assolutamente non dei nostri tempi.
É solo tuttavia all’inizio del XX secolo, con la nascita e lo sviluppo della ferrovia, che il pomodoro viene sballottato qua e là. Conquistando in America il primo premio di re della cucina.
Da frutto a verdura
Il nome stesso (pomo d’oro infatti è la traduzione di malum aureum, ovvero tutti i frutti rotondi) lo definisce frutta. Come è potuto diventare una verdura?
Successe proprio durante il suo ritorno in America. Allora, il caotico porto di New York, imponeva una tassa del 10% su tutte le verdure provenienti dalle Antille. Nel contrasto tra importatori e commercianti, il giudice della corte suprema sentenziò: botanicamente sarà pur frutta, ma si mangia sì o no come una verdura? Sì, per cui non ci sono dubbi. É una verdura.
Dagli atzechi agli italiani. Dalla carne umana alla pizza. Dalla frutta alla verdura.
Chissà quali altri colpi di scena ci riserverà il nostro tondo pomodoro.
1 Termine coniato da Madeleine Ferrières
Fonti:
“Lo zafferano è meglio del Prozac” Marie-Laurence Grézaud, Bernard Fontanille (Sperling & Kupfer,2017)
“La favolosa storia delle verdure” Évelyne Bloch-Dano (add editore, 2017)
colturaecultura.it
targatocn.it