Understory: Tapestry of the Unseen
Qualche domanda a Cristina Morbi
Parliamo di genesi, come ha inizio la tua storia?
La mia storia inizia con un legame profondo con la terra in cui sono cresciuta: il nord Italia. Da bambina, ero affascinata dalla bellezza silenziosa delle rovine e delle superfici consumate delle strade secolari. Questa zona è spesso trascurata, avvolta da una fitta nebbia che ammorbidisce il paesaggio e sfuma l’orizzonte. In quei giorni, l’architettura rurale sembrava fluttuare, sospesa nel silenzio. Oltre i centri abitati, la campagna si svelava in tonalità di oro e ruggine. È lì che ho imparato a misurare il tempo non in ore, ma in stagioni. La terra riposa in cicli: il maggese, i campi lasciati a riposo, mi hanno insegnato che la dormienza è parte del rinnovamento. I rituali della semina e del raccolto hanno scandito il ritmo della vita. Questa temporalità ciclica e paziente — dove il decadimento è parte della crescita — continua ancora oggi a influenzare il mio modo di vedere il paesaggio: come qualcosa di vivo, performativo e profondamente legato al tempo.
In che modo la natura ispira i tuoi progetti e il tuo stile di vita?
I miei progetti prendono forma dalla fenologia — lo studio dei cicli stagionali in natura — che reinterpreto come metodo di progettazione.
Mi interessa osservare come i materiali e i paesaggi si trasformano nel tempo: come crescono, si deteriorano o si dissolvono.
Invece di fissare una forma statica, cerco di coreografare il cambiamento, progettando con il tempo come elemento centrale.
La natura ispira il mio lavoro attraverso la sua continua trasformazione e simbiotica relazione. Sono attratta dai fenomeni naturali – osservare come la luce cambia attraverso una superficie, come le piante si piegano al vento, come la materia invecchia, si erode, si rigenera. Queste sottili evoluzioni custodiscono una profonda intelligenza.
Quali sono le persone che più ti hanno ispirato in ambito artistico e professionale?
Il mio professore al Politecnico di Milano ha dato forma alla mia visione del Design. Dalle Neotopie e Avanzi del Professor Luciano Crespi, focalizzato sul recupero di rovine industriali nella loro bellezza non finita, all’approccio della Prof. Giovanna Piccinno sul design degli spazi intermedi e collaterali.
Molti hanno supportato l’avvio della mia carriera e hanno ispirato il mio percorso, ed è per questo che ho scelto di entrare nel mondo accademico, affiancando l’insegnamento alla pratica progettuale e allo studio Maetherea (presso la Bartlett School of Architecture – UCL, e in precedenza al Politecnico di Milano e alla London Metropolitan University).
Quale opera d’arte/oggetto di design posizioneresti al centro di un’esposizione?
L’opera “Alpi Marittime – Continuerà a crescere tranne che in quel punto” di Giuseppe Penone oppure “Gardening Bench” di Droog Design.
Quale emozione o sensazione speri si provi entrando in contatto con il tuo lavoro?
Meraviglia. Il mio lavoro è uno strumento abitabile di osservazione che evidenzia particolari fenomeni naturali. Il paesaggio è un teatro ecologico dove la natura è lo spettacolo.
Cinque parole per te strettamente legate al concetto di Giardino dell’Eden.
Sottobosco, fenologia, intreccio, destino, simbiosi.

Pierre-Alexandre Risser
Bio
Cristina Morbi è una paesaggista con sede a Londra, fondatrice di Maetherea, studio che esplora i paesaggi performativi lavorando sull’unione tra architettura del paesaggio e arte pubblica.
Il suo approccio indaga la fenologia dei luoghi, concentrandosi sull’evoluzione della relazione tra materia, ambiente e cicli di vita.
Cristina insegna presso la Bartlett School of Architecture (UCL) e ha esposto a livello internazionale su temi legati all’ecologia del design, alla sostenibilità e ai paesaggi performativi, partecipando a eventi come la Biennale di Architettura di Venezia, la Triennale di Milano – Broken Nature e il CUBE di Londra.