Testo di Anna Rapisarda Visual Designer
“Per incontrare Dioniso, basta recarsi in una vigna del Sud Italia, a fine estate, nella calura del mezzogiorno; sdraiarsi di schiena sulla terra calda sotto le fronde intrecciate e alzare lo sguardo sugli acini rigonfi dei grappoli pendenti, il volto immerso nella luce che gioca con le foglie di vite, e arrendersi al dio dell’ebbrezza e alla zoé della sua forza vitale”.
(Karl Kerényi e il momento dionisiaco)
Il paesaggio. Che potere ha su di noi?
Lasciamoci andare tra i rimandi, le emozioni, le allusioni dei luoghi.
Siamo in un mondo popolato da luci e forme antropomorfe, siamo tra le parole di Cesare Pavese, dove il paesaggio è femmina sensuale e le colline sono i suoi seni. E nei profumi, nel fulgore di foglie e di frutti che maturano al caldo, la vigna d’estate ricorda le misteriose intimità della donna.
La donna è la personificazione della terra e da lei sembra nascere: le sue caratteristiche fisiche sono le stesse del paesaggio, la sua voce pare giungere dalle colline e su di loro la luce dell’alba è il suo sguardo.
Dalle parole di un poeta alla visione di un paesaggista, Emilio Trabella, che coglie e racconta l’attimo, brevissimo, di un luogo e delle sue suggestioni: “sul lago di Monate, quando il sole tramonta, l’ombra delle colline sui prati crea le sagome di due figure che si baciano”.
Sono le nostre esperienze, i nostri desideri e la nostra sensibilità che interpretano i luoghi. Ma se le emozioni che proviamo in presenza del paesaggio non fossero solo nella nostra mente e nei nostri sensi, ma anche innate nel paesaggio stesso?
La forza e la seduzione
Risaliamo fino agli antichi greci per scoprire una sensibilità verso il tono emotivo e le forze intrinseche dei luoghi.
La scelta di realizzare i templi sopra promontori sul mare, su declivi in pianure fertili, alture isolate o sull’orlo di profondi dirupi, è dettata dal luogo stesso, che evoca divinità particolari, parla di esse e ne testimonia i favori.
Vincent Scully, storico dell’arte americano, a cui si deve lo svelamento della natura sacra nei paesaggi del mondo greco, nel suo “The Earth, the Temple and the Gods: Greek Sacred Architecture” descrive i luoghi dove sorgono i templi dedicati a Poseidone come “Luoghi distesi pervasi dalla ritmicità del movimento rotatorio della terra, del rigonfiarsi del mare. […] Erano azioni, dunque, che richiedevano il consenso di quelle forze non umane, il cavallo ed il mare, dalle quali (questi siti) derivavano la propria splendida potenza”.
L’analisi di Scully continua poi verso i santuari di Afrodite e indica “l’apparizione di forze irresistibili ed inattese, espressione di una natura ad un tempo aggressiva e trionfante”.
Ecco il manifestarsi del genius loci, “lo spirito, il nume tutelare” del luogo. Affonda le sue radici nell’idea classica della sacralità del paesaggio che si ritrova nella cultura latina e in quella greca.
Nell’antica Grecia è il “Daimon”, per i latini è il “genio” presente nell’animo degli uomini e dei luoghi, che quindi devono essere rispettati, amati e valorizzati come una vera e propria divinità, diventando personificazioni degli elementi naturali.
Allo spirito è riconosciuta una particolare “forza” e capacità di influenzare le persone che vi abitano.
Nei secoli il genius loci assume diverse sembianze, molto distanti dalla visione antica: ora è “l’essenza di un luogo”, il carattere ambientale da conoscere e rispettare, per poter progettare e costruire senza stravolgerne le peculiarità.
Dai poeti ai paesaggisti, agli architetti, ora siamo tra le pennellate dei pittori, alla ricerca di ciò che ci trasporta così emotivamente in un albero di Corot, cosa rapisce in un giardino di Bonnard o in un orrido di Turner. O ancora nel paesaggio che si rivela davanti a noi, quando, all’alba di una giornata invernale, mentre siamo in viaggio sulla nostra auto, l’”ora blu” avvolge tutto, tinge le montagne e i campi gelati intorno a noi, facendoci immergere in una dimensione irreale, che ci piace e tocca le “nostre corde più sensibili e profonde”. Cos’è quella “forza” che ci trasmette emozioni?
Che siano nei dipinti, nelle parole o nei pensieri, i paesaggi ci “portano altrove”, come la stessa etimologia della parola seduzione suggerisce, lontano dal nostro usuale spazio esperienziale.
“Ci smuovono, ci distolgono dalla remissività all’abitudine”. I luoghi ci seducono e ci danno piacere estetico: un’esperienza in cui li percepiamo e li respiriamo, li inspiriamo e… li conosciamo.
Tommaso d’Aquino scrisse “La conoscenza si realizza nel momento in cui l’oggetto conosciuto è dentro colui che conosce”.
Fonti:
“Il paesaggio: una ricerca psicologica” James Hillman (Cardano Editore, 2006)
lessiconaturale.it
davidelajolo.it
restaurars.altervista.org
wsimag.com