Viaggio con paesaggio e l’inquadratura del paesaggio

Testo di Eleonora Diana

Puntata 2

A che punto eravamo? Jakob ci parlava di paesaggio.
Attraverso un velocissimo excursus (Puntata 1: Viaggio con paesaggio e onnipaesaggio) riguardo all’onnipaesaggio e alla differenza tra “paesaggio-coscienza” (l’esperienza di godimento del paesaggio in sé) e “l’immagine-paesaggio” (l’icona paesaggio tramandata dalle immagini, indipendentemente dall’esperienza stessa), Jakob arrivava a definire il paesaggio come “P= S+N”, ovvero il paesaggio è uguale alla somma di soggetto e natura, ossia al loro incontro. Senza uno dei due, non esiste alcun paesaggio.

Il paesaggio come esperienza di sè


Definita così, l’esperienza paesaggistica è estremamente soggettiva e non può prescindere dall’individuo. Il perché? Perché l’esperienza paesaggistica è, in primo luogo, culturale.

Dazai Osamu, poeta giapponese attivo nel Giappone post bellico, riassume il punto cruciale su cui ragionare:
“Mi sembra che se fossi in India o altrove e un’aquila venisse a prendermi per lasciarmi in seguito sulla costa del Giappone in prossimità di Numazu, non sarei per niente impressionato dallo spettacolo di questa montagna. Il Fujiama, splendere del Giappone. Se gli stranieri lo trovano wonderful, è perché gliene hanno parlato mille volte: è diventato per loro una visione di sogno. Ma supponiamo che si vada all’incontro con il Fuji senza essere stati sottoposti a tutto questo battage pubblicitario, quindi ingenuamente, innocentemente, con il cuore come una pagina bianca: in che misura sapremmo apprezzarlo? Niente è scontato. É una montagna piuttosto piccola. Sì: piccola in rapporto alla sua base. Data la sua larghezza alla base, il Fuji dovrebbe essere una volta e mezzo più alto.”1

Il monte Fuji, oggetto iper rappresentato sia dal punto di vista letterario sia artistico, deve essere per forza considerato “bello”. Non può non esserlo, dato la sua onnipresenza nell’arte.
Il problema si rivela dal momento in cui il monte Fuji non sarà mai all’altezza di tutte le rappresentazioni che compongono la nostra visione artistica, formatasi su modelli preesistenti. Il monte Fuji non potrà più sorprenderci. L’esperienza paesaggistica che noi vorremmo autentica è in realtà già filtrata da “immagini- paesaggio”, stabilite nella nostra memoria culturale.
Non solo. Usiamo un sillogismo aristotelico per arrivare al punto:
L’esperienza del paesaggio è strutturalmente dipendente dalla cultura di chi guarda.
La cultura di chi guarda permette al soggetto osservatore, nei casi in cui sia consapevole, di ragionare sui propri limiti ed aspettative.
Allora l’esperienza del paesaggio permette al soggetto osservatore, nei casi in cui sia consapevole, di ragionare sui propri limiti ed aspettative.
É così che il soggetto esperisce se stesso e riscoprire in un istante (l’istante della rivelazione del paesaggio mancata) la quantità di memoria visuale culturalmente prestabilita che lo compone.

“l’esperienza del paesaggio è, in generale e in primo luogo, un’esperienza di sé“2

Diventa così fondamentale non soltanto ciò che si percepisce (il monte Fuji per esempio) ma anche, e forse principalmente, l’atto in sé (io che mi rendo conto di osservare il monte Fuji e di non vederlo uguale alle foto).
Ecco che “il soggetto fa interamente parte del paesaggio che compone”3 : la montagna rimane montagna, il paesaggio è la somma di tutto questo processo.

Il paesaggio come inquadratura della modernità


Essere “soggetti” in Jakob significa avere consapevolezza di se stessi; significa, quindi, aver perso quello stato pre-soggettivo in cui si fa parte del tutto, senza percezione di differenze e senza coscienza. Questo è, per Jakob, un soggetto moderno.
Date queste premesse, si può serenamente sostenere che il fenomeno “paesaggio” sia tipico proprio della modernità.
È proprio la coscienza di sé nel soggetto moderno a rendere un’inquadratura di natura, un paesaggio.

Ma cosa si intende per inquadratura?
Partiamo dal fatto che l’autore dichiara chiaramente come il paesaggio sia frutto in primo luogo di un’esperienza estetica.

Se da una parte infatti il termine paesaggio compare per la prima volta nel 1493, usato dal poeta Jean Molinet, e attestato nel dizionario di Robert Estienne nel 1549 per indicare un genere di pittura con veduta campestre o un giardino (più in generale in cui la rappresentazione della natura è molto importante), dall’altra la protostoria del paesaggio parte con l’invenzione dell’idillio di Teocrito nel III sec a.C e con l’ars topiaria romana.
Il paesaggio nasce dunque come esperienza estetica, in particolar modo dipendente dal punto di osservazione.
Perchè un paesaggio possa prendere forma non ci vuole solo la coscienza del soggetto, ma anche un preciso punto di vista, ovvero un atto di inquadramento, del porre l’osservato all’interno di un riquadro.

Il punto di vista e l’inquadratura sono concetti chiave nella teoria di Jakob, che si declina in due modi diversi.
Da un lato nell’esperienza reale del soggetto come conquista di un punto di vista elevato. Di fatto, tale posizione è una delle conditio sine qua non per la costituzione di un paesaggio, sia a livello fisico sia a livello simbolico. La conquista di un’altezza è un atto fondatore: solo così è permessa una visione di insieme. L’uomo sulla cima rinvia a una spazialità moderna.

In seconda battuta, si declinano come prospettiva artistica, focus del punto di vista nel quadro: non è un caso la nascita del paesaggio come genere artistico.
All’inizio, nella pittura, la prospettiva centrale di uno sguardo unico e fisso aveva dato vita a delle prove artistiche precoci di esplorazione delle potenzialità del genere paesaggio, tuttavia sempre considerate residuali e secondarie rispetto alla tradizione (Jakob cita Lorenzetti, Jan van Eyck, Leonardo, Durer, Altdorfer, Giorgione). La prospettiva centrale dirige il fuoco della visione sia nella ricezione sia nella creazione dell’immagine-paesaggio. La figura umana rimane fondamentale ed è lei, di fatto, a dare senso alla simbologia che il paesaggio rappresenta.
La coscienza-paesaggio, ovvero l’esperienza, viene fondata invece da una logica empirica successiva, che decentra il soggetto per creare tante esperienze fisiche tante sono le persone.
In Claude Lorrain iniziano a comparire i veri paesaggi, irreali, ma pur sempre centro dell’attenzione, tanto che le figure si perdono fino a diventare secondarie. Non c’è neanche più l’intermediazione delle figure umane.

I Paesi Bassi del XVII secolo vedono la specializzazione di un gran numero di pittori in questo genere. La pittura si sviluppa seguendo innanzitutto l’ottica, abbandonando in parte il modello italiano della costruzione prospettica. Non è un caso che sia il secolo delle invenzioni ottiche!
Si abbandona così la narrazione per lasciare il paesaggio sempre più autonomo.
Successivamente arriva Caspar David Friedrich: le sue figure umane viste di schiena, sole, guardano il paesaggio e ne vengono assorbite, fino a diventare ombre in una natura che è quasi il nulla (come in “Monaco in riva al mare”). “Annunciano lo choc provocato dalla natura nuda, la natura senza presenza e senza storia umana”.4
Anticipato da Cozens, l’impressionismo di Monet e la pittura post-paesaggistica di Cézanne aprono alla fine la strada per una nuova percezione della natura e del paesaggio.
“La natura è ormai nell’artista, nel suo occhio e nella sua mano, e dunque anche nelle tracce che dispone sul supporto, a condizione che «lasci parlare» la natura in lui”.5

Nel XVIII secolo a questa esperienza pittorica si sovrappone l’esperienza vissuta. La poesia, l’arte dei giardini, la pittura, la scienza e la filosofia si intersecano con l’esperienza del soggetto.
In una conferenza del 1964 il filosofo tedesco Joachim Ritter espone la teoria per cui la crisi della metafisica avrebbe portato alla riscoperta dell’estetica come paesaggio. La scienza con le sue scoperte e la rappresentazione estetica della natura sarebbero le due facce della stessa medaglia.

“Ciò che la scienza non saprà mai esprimere è la presenza della natura, tutta, cielo e terra, appartenenti alla vita terrestre dell’uomo in quanto spettacolo accessibile attraverso il senso della vista”

Si entra nel problema della totalità dell’inquadratura.

Alla prossima puntata!

Fonte:
“Il paesaggio” di Michael Jakob (Il Mulino, 2009)

Note:

  1. pag.28 da “Il paesaggio”
    2 e 3. pag. 29 da “Il paesaggio”
  2. pag 67 da “Il paesaggio”
  3. pag. 71 da “Il paesaggio”
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