1 _ Spazio Italiana Terricci “Il giardino ritrovato”

Qualche domanda a Marco Fraschini

Parliamo di genesi, come ha inizio la tua storia?

Sono nato a Colico sulle rive del lago di Como nell’agosto 1943, in pieno tempo di guerra ed è proprio a Colico che ho iniziato ad apprezzare i boschi e i prati (allora in gran parte coltivati), intorno ai piccoli borghi che si annidano sulle pendici del monte Legnone. 

L’amore per il verde, i prati fioriti, i paesaggi degli alpeggi di pietra mi hanno portato a disegnare ciò che vedevo, facendo di queste due passioni – il disegno e il paesaggio – le basi della mia storia. 

Dopo la laurea in architettura, la professione (durata oltre cinquant’anni) si è sviluppata senza mai dimenticare queste prime inclinazioni, con disegni colorati, molto prima dei render, e almeno un albero in ogni progetto. 

Da bambino abitavo a Milano, al quinto piano: attorno solo campi vuoti, abbandonati dall’agricoltura e coperti da macerie, poi dai cantieri della Milano che si espandeva. 

Il mio rapporto con il verde è nato con i “grandi vasi” – grandi almeno per me che allora avevo 6 anni – sul balcone della mia stanza. In quei vasi non piantavo i soliti fiori, ma cercavo di far crescere piccole “foreste” o parchi, scegliendo le erbe spontanee – che gli altri chiamavano erbacce – più adatte a questo ruolo, raccogliendone i primi germogli in primavera, ai limiti dei prati ormai incolti della mia periferia, e trapiantandoli con estrema cura.  

Erano erbe annuali che però quando si sviluppavano, per me avevano l’aspetto di alberi in miniatura. Poi un giorno ho seminato un albero – ho raccolto i semi in strada – e ho aspettato con ansia la primavera. L’albero è nato e stagione dopo stagione è diventato sempre più alto, e nuovi amici ho seminato insieme a lui. 

In che modo la natura ispira i tuoi progetti e il tuo stile di vita? 

Se dovessi scegliere tra un museo e un parco o una foresta, sceglierei, se non posso visitare tutto, gli ultimi, sebbene Ruskin ritenesse che solo il fascino della grande architettura antica può far dimenticare nei centri delle nostre città gli alberi e il verde perduto. 

È evidente quindi che la componente naturale di ogni paesaggio è stata per me fondamentale. Per questo mi sorprende sempre vedere le persone spazzare le foglie come se fossero cartacce, mentre le foglie sono, in realtà, “coriandoli” della natura che cercano di rendere propria l’opera dell’uomo che l’ha manomessa. 

Ho sempre posto, nelle costruzioni che facevo, la possibilità di inserire il verde su ogni balcone e, quando possibile, anche su ogni finestra. Se piantare qualche fiore è semplice e accessibile, molte persone lo faranno volentieri. Se diventa complicato, la maggior parte rinuncerà, lasciando le facciate delle nostre case sempre più spoglie e grigie. 

Come immagini il tuo “paesaggio mentale” quando crei? Ci sono luoghi reali o immaginari che ti guidano? 

Nella mia mente esistono una serie di paesaggi reali, che derivano dall’età giovanile e dai miei primi grandi viaggi. Essi si sono sedimentati nel tempo, divenendo forse paesaggi fantastici ma che continuo a confrontare con tutto ciò che mi capita di vedere. 

Una volta al cinema, sono stato sconvolto e affascinato dall’ambiente di un film “La congiura degli innocenti” di Hitchcock, quel film raccontava la storia di un ragazzo che aveva a disposizione boschi e prati in un autunno fantastico. Sono passati più di settant’anni, ma quelle immagini hanno quasi condizionato la mia vita, fino a che girando l’Italia e l’Europa ho scoperto tanti nuovi paesaggi, nei quali non ho potuto vivere, ma comunque restarci qualche giorno per conoscere e appartenere almeno un po’ anch’io a quei luoghi. 

I miei ricordi sono come un grande mosaico, dai parchi incantati della Danimarca alle infinite foreste tra laghi e fiordi della Norvegia e della Svezia, dove al livello del mare si trovano le stesse fioriture che sulle Alpi incontriamo a 2000 metri; dai boschi di querce della grande pianura balcanica a quelli ancora totalmente selvaggi delle sue montagne, fitti di conifere scure e di sottoboschi fantastici. 

Poi con un salto geografico di qualche chilometro, ho incontrato i mille colori del sud, per noi immaginabili solo in una serra, – fiori, alberi, sapori di frutti cotti al sole. Ho visto tanti laghi più grandi del nostro (Lago di Como) e famosi nei loro paesi, senza trovarne uno paragonabile al Lario. 

Quali sono le persone che più ti hanno ispirato in ambito artistico e professionale?   

Può sembrare banale ma all’inizio ci sono due persone di famiglia. 

Mio nonno Giacomo, classe 1869, che dopo aver abbandonato le vigne dell’Oltrepò, ha trascorso tutta la vita lavorativa alla Comit in p.zza della Scala dal giorno della fondazione. Nella lunga pensione che seguì – morì a 102 anni – si dedicò al giardinaggio e all’orto. 

La seconda persona è stata mia madre, professoressa di latino che mi insegnò l’esatto nome dei fiori da lei fotografati con indubbia perizia e poi classificati; tutti i fiori e le piante hanno il primo nome in latino. 

Con lei ho sperimentato le prime fioriture. Quando poi ho intrapreso questo percorso professionale ho trovato nelle realizzazioni del celebre architetto Pietro Porcinai la conferma di alcune mie scelte (a volte contestate) sull’uso degli alberi locali, utilizzati senza irrompere nel paesaggio con essenze esotiche e fuori luogo.

Cosa significa per te giardinaggio evoluto? 

La mia personalissima opinione è che il giardinaggio evoluto sia uno stile di vita, non una semplice tendenza. Il giardinaggio evoluto è caratterizzato in prima istanza dalla “cura”, elemento indispensabile per la realizzazione e la manutenzione di qualsiasi giardino o spazio verde. Ad essa si aggiunge la volontà di vivere la bellezza al naturale, una bellezza che si può trasformare e costruire, come ancora avviene nei grandi giardini storici. Il giardinaggio evoluto è quello che ha sempre un modo diverso di guardare alle cose, quello che sa come cambiare in meglio gli spazi verdi. Per praticare il giardinaggio evoluto serve una vera e propria cultura del paesaggio e della natura. 

Qual è la tua personale forma d’esercizio per la meraviglia?

La meraviglia, già riconosciuta da Aristotele come emozione ad origine della filosofia, è quanto di più indispensabile alla vita. Una pratica che è allo stesso tempo evasione dalla realtà e arricchimento della stessa. 

Ormai, in un mondo sempre più appiattito e in cui si pensa di sapere e conoscere tutto, la meraviglia costituisce sempre più un’emozione a rischio di estinzione, mentre è indispensabile mantenere vivo lo stupore e la curiosità delle persone. 

Credo che il migliore esercizio per meravigliarsi sia osservare. Servirebbe meravigliarsi ogni giorno. In alternativa all’osservare il mondo, un ulteriore esercizio può essere la condivisione: raccontare ad altri cosa ci ha stupito e rivivere insieme, ancora una volta, la stessa emozione. 

Quale emozione o sensazione speri si provi entrando in contatto con il tuo lavoro?

Il mio timore più grande è che davanti alle mie realizzazioni le persone possano passare senza guardare, senza dire nulla. 

Non voglio stupire a tutti i costi, ma spero sempre si capisca che la realizzazione verde non è accessoria o scontata.  
Nei lavori che faccio abitualmente il fattore tempo è importante: le stagioni possono dare un significato sempre diverso al giardino. 

Ho scritto un saggio dal titolo “Un giardino per tutte le stagioni” perché molto spesso ci si appassiona al giardino e al giardinaggio solo in primavera. Poi le vacanze, il lavoro, la scuola ce lo fanno dimenticare fino alla primavera successiva. 

Vorrei che questo non avvenisse per i giardini che ho realizzato e “piantato”, perché la meraviglia del primo giorno si possa ripetere ogni anno in tutte le stagioni. 

Cinque parole per te strettamente legate al concetto di Giardino dell’Eden.

Piantò, ad Oriente, alberi piacevoli, fiume, nudi. 

Marco Fraschini

Pierre-Alexandre Risser

Bio

Marco Fraschini, architetto, classe 1943. Autore del libro Progetti di Giardini e collaboratore di Villegiardini, nella sua carriera è stato amministratore pubblico, tecnico comunale e protagonista di grandi trasformazioni urbanistiche. Oggi è direttore tecnico di Urges Srl attraverso cui porta avanti l’impegno nella creazione di luoghi dove architettura e paesaggio siano stabilmente integrati. Da sempre appassionato di giardini e natura.

Cerca